
Avrei voluto ancora limare e ritoccare questa prima della serie delle Concatenazioni; ma, dietro la spinta emotiva di ciò che sta accadendo in Sardegna, anche stavolta non ho che parole e libri e immagini per dire la solidarietà e l’affezione ad una terra, ad un popolo.
I LIBRI E I TELAI DI MARIA LAI, LE SCULTURE DI COSTANTINO NIVOLA
1. C’è un luogo nella Barbagia di Ollolai che ha il nome di Orani. Risonanze misteriose, fascinanti, arbitrarie, lo so, e ariose: oracolo, orazione, Orano d’Algeria, os/oris :bocca che dice e che canta.
Nell’Ogliastra Ulàssai: ulivo, Ulisse, ultimo.
2. Maria Lai spiega che ha imparato da suo padre la regola delle 5 esse per la coltivazione dell’ulivo: sasso (l’ulivo ha bisogno di terreno sassoso per crescere forte e durare nei secoli), sole (è il sole che lo fa vivere), solco (ma è il lavoro dell’uomo che lo cura), scure (l’ulivo va sfrondato, ripulito, modellato), sale (l’ulivo ha bisogno del mare affinché i suoi frutti siano dolci).
3. Nel suo bellissimo Isolatria (viaggio nell’Arcipelago della Maddalena) Antonella Anedda ricorda Maria Lai e Costantino Nivola: nomi eroici, mitici, li definisce, come lo è il Maestro di Castelsardo, volto perduto nell’addensarsi del passato.
4. Tessere, intessere: quando Odisseo s’avvicina alla casa di Circe ode la maga cantare mentre ella lavora al telaio; all’opre femminili intenta la Maga, nel poema vinta dall’eroe, è memoria della grande Dea mediterranea, distorta e ridotta alla funzione di malefica ingannatrice domata e dominata dal maschio portatore della cultura indoeuropea, ma, se si risale alle origini, facitrice di civiltà e di pace, esperta conoscitrice dell’arte del tessere e si tessono abiti, tappeti, stoffe da usare in casa o nel rito, tessuti di cui adornarsi e si tessono anche i racconti, i canti. Maria Lai recupera la funzione non-subordinata del tessere, la connette con l’elaborazione della cultura e della memoria, la riscatta dalla plurisecolare condanna ad essere attività da gineceo inteso quale luogo di segregazione e di controllo della donna. Tessere, intessere: Maria Lai tende tra le mani con le dita aperte fili ch’ella contempla con religiosa attenzione. Con i fili dell’amicizia lega tra di loro le famiglie, le porte, le pareti di Ulassai, lega il paese alla sua montagna.

5. Le migrazioni mitiche dei Sardi, la civiltà nuragica, i Fenici e i Romani sull’isola, l’era insieme luminosa e contraddittoria dei Giudicati, Eleonora d’Arborea, Catalogna e Spagna, la trasmissione da cantore a cantore di quest’abissale concatenazione di storie: Sergio Atzeni scrive, come posseduto dal dio del racconto, la vertiginosa bellezza di Passavamo sulla terra leggeri; già l’Apologo del giudice bandito aveva mostrato una Sardegna indagata con occhio non ingenuo, ma pure non dimentico della tradizione; il nuovo libro, donatoci pochissimo prima che lo scrittore scomparisse nel mare tanto amato e cercato, rapisce la mente del lettore, come Cent’anni di solitudine, come Paradiso di Lezama Lima, come Texaco di Patrick Chamoiseau, come Grande Sertão compie il miracolo di far rivivere l’arte dei rapsodi.
6. Immagino Costantino Nivola rivolgersi all’amico Henri Cartier Bresson:
“Ho bussato alla porta d’una città meravigliosa
di pietre antichissime materiata
e piazze quadrate come cisterne
neolitiche
ho scolpito bassorilievi nei muri delle case
e i paesani stavano a guardare
ho visto mammelle e vulve nella pietra
perché sono figlio della terra
ti ho portato con me
perché sei figlio della luce
tu disegni con gli occhi ficcàti
nella Leica
io scolpisco con gli occhi incarnàti
nelle mani
immobili ci guardano
la matriarca e il patriarca
saliva della mia isola
seduti e nobili come
lo saranno stati ai tempi
dei Giudicati.
7. Una foto mostra Costantino Nivola issato sulle impalcature mentre traccia graffiti sulla facciata della Madonna de sa Itria di Orani e gli abitanti del paese lo guardano lavorare; commentano, gli danno consigli, lo interrogano e Nivola riporta come per miracolo nel cuore del Novecento l’artista-manovale che lavora in mezzo alla sua gente. Ho pensato spesso alle maestranze che lavorarono alle grandi cattedrali romaniche o agli edifici pubblici del Rinascimento: lavoratori spesso sfruttati, probabilmente, ma sapienti nella loro arte, coscienti di un ruolo (scalpellini, mosaicisti, carpentieri, vetrai …..), mastri appunto capaci di riconoscersi in un intento comune rappresentato dall’edificio in costruzione (la signora che ci accompagnò durante la visita al Duomo di Colonia ci diceva quanta fierezza sentano ancora oggi gli artigiani chiamati a curare le diverse parti dell’edificio).

8. Henri Cartier-Bresson diviene amico di Costantino Nivola, ne è ospite in Sardegna; insieme hanno già lavorato negli Stati Uniti, Costantino gli fa conoscere la sorgività di una cultura contemporaneamente antichissima e modernissima, lo accompagna nei lavatoi di pietra, nelle cappelle isolate tra i pascoli e tra le campagne, gli mostra la pietra che suona al passaggio del vento.
Costantino pareva cantare nella sua parlata sarda, avrà cantato anche parlando l’inglese, dicendo sea e trees e stone, pietre affioranti nel mare degli alberi.
9. I suoni della pietra, Pinuccio Sciola, è lui a scolpire le pietre che suonano, vibrare, voci della pietra, vento che sfiora la pietra (il vento traverso l’allineamento dei menhir a Kermorvan in Bretagna, giunge fin qui a Via Lepsius la voce di Celan). Mano che passa su pietra e pietra che sfiora la pietra: preghiera della pietra nell’immaginazione di Vladimír Holan, arcano linguaggio:
Paleostom bezjazy,
madžnûn at kraun at tathău at saün
luharam amu-amu dahr!
Ma yana zinsizi?
Gamchabatmy! Darsk ādōn darsk bameuz.
Voskresajet at maimo šargiz-duz,
chisoh ver gend ver sabur-sabur
theglathfalasar
bezjazy munay! Dana! Gamchabatmy!

10. Elegia per legare
per sciogliere dall’odio
ma legare, legare alla pietra vivente
elegia per ricordare
e legare memoria con l’andare
sogno con l’intessere
elegia d’allegrezza
(non vorrebbe toni mesti Maria del legare)
elegia del respirare
con le mani il fare
con la mente l’andare
nodo a nodo nel filo non interrotto
camini del cuocere
e cammini del léggere
elegia per legare la mente alla montagna.
11. Un velo di pietra, veste dispiegata come vela o riparo (la Madonna del Parto di Monterchi?), due mani, forse, o due seni appena accennati e Costantino Nivola sguardo mediterraneo (le Veneri paleolitiche? i cantori cicladici?)

12. La mente raccoglie il tempo, ne intesse sulla parete le trame. Spesso Maria Lai dipinge parole sulla parete o su listarelle di legno, ella ama le parole della poesia. Ed era atto naturale dipingere o incidere parole sul muro: basta entrare in una moschea, osservare i basamenti degli edifici a Delfi. Nelle nostre città disumanate le parole sui muri si trovano nelle insegne commerciali o nei cartelli pubblicitari; forse nei graffiti è dato sorprendere, talvolta, la bellezza libertaria della parola scritta sul muro. Nell’arte di Maria la parola sta alla pari con la pietra il legno il metallo e il filo. Il grande telaio sospeso sulla fontana che canta di Nivola dentro il lavatoio di Ulassai usa anche il suono come materiale, cosicché l’arte esalta i materiali per costruire, la parola e il suono. Poi si ferma a riflettere.
13. Tra ruralità e metropolitanità, tra archetipico e digitale si dispiega quest’arte che traghetta il passato traverso il presente nel futuro.
14. Nei paesi d’Italia s’intesse
luce con pietra
pittura con poesia
paesi lavàti nel tempo
Maria Lai mente dolcissima
tesse intesse libri e fili di refe
nell’angolo assolato
tra Matrice e pozzo
benefiche streghe
necessarie streghe
dentro la tradìta modernità
Assunta Finiguerra
che danza amore
ed offesa d’amore
nel suo canto
così antico così ficcato
dentro il nostro noi
Sarà per ascoltare
e sarà per ritrovarci comunità
se andremo nell’angolo
di luna e latte
tra Matrice e pozzo
a bere
a conversare
a bere la conversazione
a conversare mentre tessiamo
intessiamo
parole e sguardi
fili di refe e carta
scalpello sulla pietra
affacciata sulla porta di casa
Assunta ci porge un bicchiere
d’acqua di pozzo
seduta su un’antica sedia
impagliata
Maria ci spezza un pane
con le mani
ruvide e dolci
sotto il lastricato della piazza
gli antichi pesci adagiàti
nella sabbia
incomparabilmente
più vetusta di Gerico.
15. Provo a portare nella mia lingua la voce di Paul Celan; essa dice di pietre-menhir allineate nella terra bretone, cosicché dal mare del Nord e dall’Atlantico fino nel Mediterraneo in catene d’eco risuona la sapienza del lavorare la pietra, innalzarla verso il cielo, riaffermare la chiarità della parola d’amore, della parola nell’amore:
LE LUMINOSE
PIETRE attraversano l’aria, le bianco-
chiare, le portatrici
di luce.
Non vogliono
discendere, né precipitare,
né colpire. Esse vanno
sù,
come le piccole
rose selvatiche, s’aprono così,
ti si librano
incontro, tu mia Silenziosa,
tu mia Vera – :
ti vedo, tu le raccogli
con queste mie nuove, con queste mie mani
d’ognuno, tu le poni
nella chiarità ritrovata che nessuno
deve piangere o nominare.
16. Ancora per Maria Lai, a mo’ di congedo:
Questa piccola donna timida
che s’avvia alla montagna
e lo scialle dell’antenata sulle spalle
trattenuto in gola dalle dita di sensitiva
questa minuscola viaggiatrice del silenzio
capinera dalle piume di vento
fatta oraun nome disciolto nelle sue opere
e un soffio levitante per i semi del pianoro
questa pellegrina minuta e tenace
antico volto materiato di tempo
e acuto sguardo
tessitrice di fili che illuminano le dita.