
Luigi Ghirri: Bologna, Tangenziale (1985).
1. Palazzine di cemento, gli orli dei balconi già sbreccati, stentatissimi alberelli assediati dalle cartacce nello pseudoviale. L’insegna pencolante di uno spaccio di generi alimentari chiuso da anni.
2. I viaggiatori in transito vanno a mangiare panini tra la recinzione semidivelta e i camion parcheggiati, bollenti di nafta e morchia.
Pochi centesimi nel piattino per la signora che tiene pulita la toilette.
Odore di fritto stantio dallo sfiatatoio del ristorante. L’autostrada lancia nel cielo bassissimo il grugnito dei motori.
3. Dei parcheggi multipiano: la luce sporca delle lampade perennemente accese dietro le loro griglie di metallo, la luce sporcata dal grigio del cemento, imperatore qui in questa provincia del sonno addensato nei motori e negli abitacoli vuoti, tutto è cemento a vista, segnato dalle spatole che l’hanno lavorato: le rampe che s’avvolgono su se stesse, i pilastri, i soffitti bassissimi percorsi dalle tubature antincendio.
Ossessivo il ripetersi dei cartelli di divieto.
4. Malinconia delle cose che giacciono dietro gli edifici: le grandi scatole dentro cui girano le ventole degli areatori del reparto di geriatria e i bidoni allineati per la raccolta differenziata; i nastri svolazzanti bianch’e rossi che vorrebbero impedire l’avvicinarsi alla scala antincendio mezzo divelta sul retro dell’edificio scolastico; il materasso sventrato e la sedia senza schienale, l’armadietto dall’anta sfondata e la bombola del gas esaurita che, da mesi, addossati nell’angolo del cortile posteriore del condominio, attendono di essere portati via, non ancora pietosamente sottratti a questo status di oggetti consunti ed espulsi dall’uso.

Luigi Ghirri: Bologna, Via Stalingrado (1985).
5. Era solenne ed elegante l’atrio della stazione viaggiatori quando sulla linea ferrata transitavano i treni internazionali.
Ora non più: due convogli del trasporto locale al giorno.
I sedili di legno rimangono vuoti, le vetrate fattesi opache per la polvere mineralizzatasi nel tempo. Solitaria, ansante di tre o quattro lucine intermittenti, unico vivente il distributore automatico di bevande.
Vive l’anziana pazza, carica di buste di plastica colme di cianfrusaglie, accoccolata accanto al termosifone spento? Vive la mosca che testarda ronza contro la vetrata e non sa uscire da quest’immenso ipogeo? Forse in questo luogo vita è assenza, giacere in se stesse delle pareti e delle vetrate ancora leziose dentro le strutture art nouveau di ferro battuto.
6. il sole si è abbassato sotto l’orizzonte alla profondità di circa 6 gradi.
che noi chiamiamo crepuscolo civile (Marco Giovenale : In rebus).
7. I tir enormi mezzo infilati (in retromarcia) nel magazzino dell’ipermercato. Trasfusione delle merci da ventre a ventre, il primo su ruote che rullano ininterrotte la pelle della terra, il secondo di prefabbricate pareti, andirivieni dei muletti di carico e scarico. Introibo prima della cerimonia solenne (le merci ordinate sugli scaffali illuminati, offertorium per la vendita).
8. Le barene erose, i becchi delle gru-escavatrici fermi nell’aria (è domenica d’ipermercati aperti). Poco oltre le villette, ineccepibilmente eguali, un metro quadrato di prato davanti ad ognuna di esse. Un barbecue fuma.

Un fermo immagine dal “Deserto rosso” di Michelangelo Antonioni.
9. Mandate a dire all’Imperatore che felicità è un pesco proteso al fiume;
mandate a dire all’Imperatore che luogo è là dove radica la memoria.
10. L’ininterrotta sequenza del guard-rail. Non si posa l’occhio su nessuna ruga di quella lamiera (non ne ha il tempo), su nessuna fessurazione, non vede l’occhio la ruggine che cola tra bullone e paletto. Lattine vuote e cerchioni smarriti, erba clandestina.
Se arrivano uomini in tuta arancione per la manutenzione nulla cambia nell’indifferenza riservata all’oggetto guard-rail. Milioni i chilometri di guard-rail su tutto il pianeta.
11. I vecchi paracarri di pietra, quelli su cui si sedeva tranquillo Manuel Fangio a veder passare le auto in gara (aveva distrutto la sua arrischiando un sorpasso in curva).
Non ce ne rendiamo mai conto: l’accumulo del capitale ci fagocita e surclassa: tempi eroici dell’automobile, quelli, ma era già in atto la transizione: strade alberate sarebbero state presto desertificate di quegli esseri sublimi, allargate e ricoperte di stese d’asfalto ch’isteriliscono la terra, offerte all’arroganza dei tir.
Le epiche gare soltanto paravento ed esperimento per la campagna di conquista imminente.
12. Edotto dei luoghi di transito (stazioni, corridoi negli aeroporti, palazzi amministrativi) Austerlitz esiste nella parola, nel suo raccontarsi. “Dice Austerlitz”: splendore di un raccontare anche ciò che i più non vedono, felicità del dire, del dirsi.
13. Quando Ai Weiwei posta sul suo blog le migliaia di foto a documentare la trasformazione di Pechino in nonluogo traccia lungo le rotte incontabili del web il grido di ribellione contro la barbarie politico-affaristica.
Quando monta mappe della Cina con legni recuperati dagli antichi templi distrutti sbeffeggia la modernità senza memoria.

“Il deserto rosso”