Pensieri di Alexander Grothendieck mentre passeggia al Luxembourg (1970)

di Antonio Devicienti. Via Lepsius

Grothendieck1958

 

Alexander Grothendieck ha vissuto gli ultimi decenni della sua vita in volontaria solitudine, desideroso di essere dimenticato. La scrittura che lo cerca, che lo immagina in quei giorni del 1970 quando decise di lasciare l’Institut des Hautes Études Scientifiques perché aveva scoperto che esso era finanziato dai militari, la scrittura viola la sua volontà e, consapevole di questo, a Grothendieck essa ritorna, ossessionata, rifiutandosi di dimenticare il fuoco di un pensiero, il coraggio di un’etica (ai miei amici carissimi di Perìgeion).

Sono felice per la libertà di quel bimbo
che spinge la sua nave dal bordo
della vasca qui al Luxembourg…
Sono felice per la sua mente di gabbiano
che, affaticata dal giuoco, s’addormenterà
subito stasera nella sua camera in penombra…
Quel bimbo non sa la distanza
tra la bellezza della sua nave sospesa
e libera nella vasca, Parigi assolata
e le minacce di guerra che
gli adulti ammassano sopra la vita
del pianeta.
Sono stanco. M’affatico sui manoscritti
e la matematica è essa stessa tuttavia
nave dallo scafo bellissimo
che mi suscita entusiasmi di bambino
e vengo fin qui a passeggiare:
sono felice per quel bimbo che non sa
l’offesa e la madre che gli porge la merenda
lo tiene ancora un po’ al riparo
dall’angoscia e dal lutto.
Hanno ritrovato il corpo di Celan nella Senna.
Azzererò i miei bisogni
farò silenzio dentro e attorno.
Sono felice per quel bimbo che tornerà
fiducioso alla sua casa:
che non si dimentichi mai
dei pomeriggi trascorsi a spingere una nave
nella vasca del Luxembourg
e che guardi una tavola pitagorica
intravedendovi  la traccia del chiamarsi.

I bimbi spingono le loro barchette
sull’acqua della vasca
e se ne prendono cura
con la serietà leggera del giuoco.

 

grothendieck