In un’aula di Liceo
di Antonio Devicienti
in dialogo con Ilaria Seclì, in questo nostro tempo infame. Contro questo nostro tempo infame.
Riflessioni di un insegnante mentre si accinge a cominciare la sua lezione:
Si fidano di te. Ti ascoltano. Come potresti tradirli? Come non guardarli ad uno ad uno negli occhi? E lo sai bene: là fuori li aspetta il tritacarne sociale. Molti di loro emigreranno. Si danneranno l’anima per una laurea ed emigreranno. Intanto seguono lezioni di lingua morta. Lingua morta? Sanno appassionarsi ai valori del congiuntivo latino e discutono con animazione sulla resa di un ottativo greco. Lingua morta? Alcmane li commuove ancora e Lucrezio gli spalanca gli occhi sul mondo. Inutili conoscenze, vanno dicendo in giro. Ma tu guardali, guardali bene negli occhi: in questo momento non sono né merce né clienti. E forse sapranno fare quello che né tu né la tua generazione sapeste fare: àuguri loro coraggio e felicità, consapevolezza e rivolta. Loro àuguri la felicità degli atti gratuiti e degli entusiasmi.
La felicità che da anni (da secoli?) vanno togliendo alle persone, persuase a rinunciare ai diritti, gettate in quest’immane tritacarne sociale, vendute, macellate: come polli allevati in batteria.
Figlio di un’insegnante che dà la vita ogni giorno con lo stesso spirito, trovo toccanti queste righe. Nonostante abbia momenti di crisi, continuo a sperare che la nostra generazione infine riesca a tenere duro, fare resistenza culturale, cercare di non emigrare (metaforicamente) ancora una volta e un’altra ancora, perché costretti e tritati.
Grazie per queste parole. La buona scuola (quella vera) è fuori dai proclami da spot pubblicitario che infestano i nostri giorni.