
L’Anfiteatro di Arles nel XVIII secolo.
1.
Un interno olandese
di luce zenitale
ma filtrata traverso
finestre rabdomantiche
(fanno intuire il porto,
il vociare al mercato,
fiammea l’ora sospesa
sopra Delft invisibile).
Un interno di cose
segnali d’esistenza
modulato silenzio
sulle mappe del tempo.
2.
Interno provenzale
quella sedia impagliata
quieta all’angolo, gialla.
“Puoi posarvi gli abiti
logorati d’attesa”
dice la voce o i libri
che compulsi, vorrei aggiungere.
E con una matita
sottolinearvi magistrali versi.
“T’arrischierai di nuovo
a scrivere, ancora, dopo i maestri?”
soffia la voce.
3.
Interno giapponese
(sumi e) :
il pennello l’inchiostro
la danza della mano
la mano che qui danza
l’inchiostro sulla neve
del foglio
e il pennello infine
a prendere congedo.
Segue contemplazione.
4.
Interno salentino
con tovaglia di Fiandra
e immedicabile atra
assenza nelle stanze
dov’è vano cercare.
Finestra su terrazzi
e comignoli bianchi
di calce e biancheria
stesa a asciugare; vento.
I suoi occhi trasparenti.
5.
Un interno ateniese
con lampada da tavolo
(nella mezz’ombra il volto
della sera e silenzio,
sacri anfratti scrittori)
inquadra la finestra
i capitelli della
Biblioteca d’ Adriano:
sedimenta il caffé
al gocciare del tempo
alla carezza della
mano sopra la pagina
al danzare del sogno
nell’inchiostro.
6.
Palestinese interno:
cadavere bambino
nella camicia-uovo
e sopra il legno brullo
dell’ostensione
(lo piangono le Madri
raccolte attorno al tavolo
dove mangiano il lutto).
7.
Siracusano interno
è piazza a forma d’occhio
(esterno come ventre
della mediterranea
madre nella lucìa
di pietra e quaglia in volo).
Siracusano interno
è disco biancheggiante
di pietra ove, seduti,
Antigone nell’eco
dall’eco disperata
della Legge s’intride
mani di polvere aspra
d’aspro suolo, gli uccisi.