Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Mese: agosto, 2015

Nessun essere umano è illegale

 

kein Mensch ist illegal

 

c’è un Corpo idolatrato, esibito e commercializzato: venduto/comprato/ovunque ostenso
(quello di Kate Moss, ad esempio)

 

e c’è un corpo vilipeso, asfissiato, occultato nelle casse dei pomodori. i senza nome

 

kein Mensch ist illegal

Ho scattato questa foto al porto di Amburgo nella primavera del 2014; la frase era ripetuta molte volte lungo uno dei marciapiedi.

 

 

 

Maria Reiche (passo dopo passo)

 

Maria Reiche Bruce Chatwin

Maria Reiche fotografata da Bruce Chatwin.

 

1.
Ritta in piedi su di una scala        e il deserto intorno e più oltre di quanto lo sguardo giunga.
Abbiamo quest’ammirazione per la sapienza di generazioni a noi anteriori.
Incontrassimo uno di quegli antenati        ricoperto di piume, la pelle tatuata di scrittura,         gl’invidieremmo lo sguardo colmo di stelle        che noi non abbiamo conosciuto         che ci soggiogano nella loro triangolazione coi sassi sparsi sul deserto e col vento.
È come ricomporre il disegno smarrito di sé,        è l’ordine paziente delle ipotesi da mettere in fila, l’una dopo l’altra,
poi verificarle, l’una dopo l’altra.
Che cos’abbiamo in effetti?        Una baracca con un rozzo tavolo dove comporre schizzi e stendere appunti,        una scala che s’apra a libro, in cima alla quale decifrare le linee delle nostre ascendenze.

2.
E ancora percorrere a piedi il deserto        gettàti via gli ultimi cascami dell’orgoglio colonialista
lasciare che il sole e il vento scrivano solchi sul viso che invecchia.
Forse la saggezza è un miraggio che perdura tutta la vita
o forse la silenziosa abnegazione dei giorni        (frugali pasti, rustici sandali, salsa acqua di pozzo e dimenticare se stessi, finalmente).
Levarsi del sole        (felicità d’un giorno nuovo e di studio che comincia)        pazienza d’ore camminate

passo dopo passo.

 

 

Sette interni

 

Arles_Amphitheatre

L’Anfiteatro di Arles nel XVIII secolo.

 

1.

Un interno olandese
di luce zenitale
ma filtrata traverso
finestre rabdomantiche
(fanno intuire il porto,
il vociare al mercato,
fiammea l’ora sospesa
sopra Delft invisibile).
Un interno di cose
segnali d’esistenza
modulato silenzio
sulle mappe del tempo.

2.

Interno provenzale
quella sedia impagliata
quieta all’angolo, gialla.

“Puoi posarvi gli abiti
logorati d’attesa”

dice la voce o i libri
che compulsi, vorrei aggiungere.
E con una matita
sottolinearvi magistrali versi.

“T’arrischierai di nuovo
a scrivere, ancora, dopo i maestri?”

soffia la voce.

3.

Interno giapponese
(sumi e) :
il pennello l’inchiostro
la danza della mano
la mano che qui danza
l’inchiostro sulla neve
del foglio
e il pennello infine
a prendere congedo.

Segue contemplazione.

4.

Interno salentino
con tovaglia di Fiandra
e immedicabile atra
assenza nelle stanze
dov’è vano cercare.
Finestra su terrazzi
e comignoli bianchi
di calce e biancheria
stesa a asciugare; vento.
I suoi occhi trasparenti.

5.

Un interno ateniese
con lampada da tavolo
(nella mezz’ombra il volto
della sera e silenzio,
sacri anfratti scrittori)
inquadra la finestra
i capitelli della
Biblioteca d’ Adriano:
sedimenta il caffé
al gocciare del tempo
alla carezza della
mano sopra la pagina
al danzare del sogno
nell’inchiostro.

6.

Palestinese interno:
cadavere bambino
nella camicia-uovo
e sopra il legno brullo
dell’ostensione
(lo piangono le Madri
raccolte attorno al tavolo
dove mangiano il lutto).

7.

Siracusano interno
è piazza a forma d’occhio
(esterno come ventre
della mediterranea
madre nella lucìa
di pietra e quaglia in volo).

Siracusano interno
è disco biancheggiante
di pietra ove, seduti,
Antigone nell’eco
dall’eco disperata
della Legge s’intride
mani di polvere aspra
d’aspro suolo, gli uccisi.