Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Mese: novembre, 2015

Lavorare a togliere

 

lurra G-262 (1992)

Eduardo Chillida: Lurra G-262 (1992).

 

 

Le “Varianze” di Maurizio Giudice (Giuliano Ladolfi Editore, 2015)

 

Questa è una plaquette di 44 versi distribuiti in 13 testi: non lo scrivo per additare una sorta di stranezza o di singolarità, ma per mettere in evidenza con quanta determinazione l’autore abbia ridotto ai minimi termini il suo lavoro, scarnificando fino alla soglia del bianco totale della pagina la propria scrittura. In quarta di copertina si richiama la pratica contemplativa buddista del vuoto che ha nell’ensō (il cerchio della simbologia zen raffigurato in copertina) la propria rappresentazione; giusto e, da parte mia, farei inoltre riferimento a due concomitanti tendenze della poesia contemporanea, di cui l’una preferisce sfrondare fino all’osso la scrittura, in deliberata opposizione al rumore e al vaniloquio che vorrebbero sommergere ogni cosa e ogni pensiero. C’è sottesa una critica nei confronti di questa ridondanza, spesso vana o narcisista e i due versi che a pagina 13 aprono il lavoro sono inoppugnabili nella loro valenza concettuale:

E quando arrivi hai davanti il muro, la corsa verticale.
Le evoluzioni, in uno spazio addensato, sono millimetriche.

Riconosciamo qui il senso di una scrittura che, avendo coscienza dei limiti ontologici dell’esistere e del reale, attua evoluzioni, appunto, millimetriche e il muro, che potrebbe essere anche la pagina quasi interamente bianca attorno ai pochissimi versi del testo, se accettato si rivela l’unico spazio possibile per dare forma al pensiero. Infatti:

Non alle cose che verranno,
ma alla custodia di queste, al pane
mangiato in fretta, ai tuoi occhi vuoti
mentre parliamo d’altro (PERMANENZA, pag. 15).

Il concetto di custodia si associa a quello delle evoluzioni millimetriche che sono poi le varianze del titolo del libro, minimi cambiamenti o spostamenti o trasformazioni che la superficialità e la fretta trascurano, la pratica meditativa e accurata della scrittura coglie, senza dimenticare le molte sfaccettature e implicazioni in diversi campi dell’azione umana che possiede il termine varianza:

Così che il silenzio non basta,
bisogna raccontarlo, indicarvelo
col dito – un rumore
ininterrotto,
fermarsi: ecco (pag. 17).

E anche in questo caso Giudice si confronta con un tema attualissimo della poesia contemporanea, ovverossia la dialettica tra suono e silenzio e di nuovo il silenzio prende la figura visibile del bianco del foglio, muro e spazio che seguono al deittico “ecco”. E talvolta quello che si indica, che si addita, che si guarda attraverso gli occhi della scrittura è un deserto infecondo e deprimente, disumanizzante:

Ai margini non ci sono nomi, ma corridoi vuoti
e macchinette rotte (pag. 19).

Viene allora il sospetto che poetare sia qualcosa di simile a quanto è enunciato nei tre versi seguenti, un’esplorazione di perimetri che, comunque, non ci fanno penetrare gli oggetti, in una permanente distanza (incolmabile e totalmente refrattaria) che la scrittura registra riducendosi essa stessa ad una laconicità ai limiti del silenzio:

I GATTI

Camminiamo vicino ai muri.
Calcoliamo il perimetro degli oggetti,
lontano dall’abitarli (pag. 22).

E infatti:

Il deserto avanza: nella rubrica telefonica
i numeri hanno cambiato di posto,
non trovo più le facce, i luoghi, le date.
Il deserto sale, ripara le pieghe dei nostri passaggi (pag. 25).

 

Il pensiero. Nel bianco.

 

ghirri_morandi

 

 

La camera da letto di Giorgio Morandi a Grizzana (da una foto di Luigi Ghirri)

Come il monaco quando rinuncia a sé:
si fa carico del mondo
(vi si sottrae all’apparenza
ma soltanto per esservi inchiavardato
con nascosta forza tenacissima
di radice)
e la cella bianca di calce, il letto,
la pazienza e l’attesa,
un pane nel piccolo armadio quasi
vuoto –
come il bicchiere d’acqua sul piano
di legno mentre aspetta l’accostarsi
della bocca
e il rubinetto gocciante annodato
a fiumi lontani, acque di nivale
pazienza a levigare i sassi vitrei,
lo spazio e la storia,
una bottiglia di vetro che quieta
attende –
come il libro annotato a matita
segno su bianco, bianco nel silenzio,
reductio ad minimum, forse l’aroma
del caffè sospeso nel bricco vuoto:
stare come il guanciale sottovoce,
come nella ciotola l’elemosina,
come gli occhiali vicino alla radio
e lo specchio per radersi, il sapone,
la pazienza e l’attesa,
due sandali di cuoio sotto il letto,
invisibili

e l’intonaco morbido, solare
d’un edificio emiliano tramato
d’onestà, di serietà.

 

ghirri_atelier morandi

 

 

Enrico Marià: due editi e un inedito

 

William_Kentridge_Sleeper___Black_1997

William Kentridge: Sleeper – Black (1997).

 

 

Enrico Marià dona a Via Lepsius due suoi testi editi e uno inedito nei quali con linguaggio impietoso e antilirico guarda direttamente in faccia, senza infingimenti né sentimentalismi, una realtà brutale e disumana. Questa scrittura dice ciò da cui, per superficialità o indifferenza, distogliamo lo sguardo.

 

Senza titolo

“Cristina vende i capelli
e il suo latte materno,
da cena ci spartiamo
una latta dei cani;
intuire la verità
è peggio che saperla,
amore della morte madre
ti prego stringimi
facendo di me l’istante
di un tuo bianco frammento”.

da “ Cosa resta” (puntoacapo Editrice 2015)
e inserito nell’antologia Chorastikà II (Casa Editrice Limina Mentis 2015).

 

Senza titolo

“Fuori dal San Martino
dimesso da un’overdose
mia sorella mi abbraccia,
mi stringe a sé
tentando di tenermi insieme
come quando si cerca
di trattenere l’acqua
con le mani a scodella”.

da “ Cosa resta” (puntoacapo Editrice 2015)
e inserito nell’antologia Chorastikà II (Casa Editrice Limina Mentis 2015).

 

Inedito

Sputa merda dalla bocca
il terrore di amare –

gelida luce
noi nudità muta
prematuro morire
di vita incompiuta.

 

 

Guardare. Meditare

 

 

FRANCE. Paris. Italian writer Leonardo SCIASCIA standing in front of a statue of French writer and philosopher VOLTAIRE in rue de Seine.

Ferdinando Scianna ritrae Leonardo Sciascia in Rue de la Seine davanti alla statua di Voltaire.

 

 

La tabaccheria di Maglie

 

Settecentesca-incisione-di-Louis-Jean-Desprez-bellissima-veduta-della-splendida-Città-di-Maglie

 

Nella tabaccheria
scintilla Maglie di smaltate
scatole segrete di tabacchi
finissimi (les ports du monde sopra
i coperchi e l’occasione
di conservarvi, una volta vuotate,
minime cose che appartennero
a giorni e luoghi e nomi).
Quasi un Caspio, quel mare vasto e chiuso, dell’esistere.

Oggi acquisto un atlante di seconda
mano da un venditore
in Via Ginnasio.

Mi seducono gli abusati giganti:
marinai della lontananza,
abiti logori dell’attesa.

Allegate le tavole a colori
di navi e locomotive che solcano
la cotica terrestre e acquerelli
di luoghi dell’andare.

Nella tabaccheria vi cerchiamo
l’estuario del Tago
e Saint Trophime ad Arles.

E Bakù che non ho mai vista.

Spera magica lo specchio
dietro il bancone
volti e gesti assorbe nel nerofumo
del suo guardare.

Sulla sedia impagliata acciambellato
un gatto randagio ci ascolta
perplesso (forse sa meglio di noi
la voluttà dell’andare, l’enigma
del restare).