(Segnalibri) “Codice siciliano” di Stefano D’Arrigo
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
Ho incontrato Codice siciliano negli Anni Ottanta quando studiavo all’Università di Lecce; Horcynus Orca era stata per me una travolgente, sconvolgente rivelazione – avevo immediatamente e febbrilmente cercato gli altri libri di Stefano D’Arrigo, letteralmente divorandoli: Cima delle nobildonne e, appunto, Codice siciliano. Nella Biblioteca del Dipartimento d’Italianistica della mia Università esisteva la copia edita nello “Specchio” mondadoriano – in quegli anni non avevo il becco di un quattrino (non che oggi vada, per fortuna, meglio…) e, come spesso facevo, ricopiai a mano in un quaderno l’intero libro (conservo ancora molti di quei quaderni, compreso il “mio” Codice siciliano, che, con una pazienza e a una velocità a me stesso oggi incomprensibili, ricopiavo con la penna a biro).
E oggi, grazie alla Casa Editrice Mesogea di Messina, torna nelle librerie questo splendido libro di poesia, completo delle dediche e delle note sia biografiche che testuali e dell’edizione Scheiwiller del ’57 e di quella Mondadori del ’78 – da leggere l’intensa, intelligente introduzione di Silvio Perrella.
Il libro, di piccolo e prezioso formato, possiede una lancinante attualità, insieme con un sapiente connubio tra poesia e mito, storia personale e storia generale; ben si capisce, leggendolo, quanto fatalmente D’Arrigo dovesse dedicarsi all’immenso poema horcyniano, quanto labile sia il confine tra le diverse forme letterarie e, soprattutto, quanto la vita possa essere ragione di scrittura e quanto la scrittura ragione di vita.
Massima stima per il ricopiare a mano.
Talvolta, ma in misura molto minore, mi capita di farlo ancora: mi dà l’illusione di una maggiore intimità col testo che ricopio. E qualche volta anche la scelta della carta e dell’inchiostro sono importanti.
Grazie per questa preziosa segnalazione! Non so se sarò mai in grado di affrontare “Horcynus Orca”, ma potrei cominciare a conoscere il D’Arrigo da questa chicca (e l’immagine di te che ricopi a mano un libro di poesia, non so perché, è un’epifania e un’ispirazione)…
grazie!
Grazie a tutti voi, carissimi, che passate da qui, leggete e, magari, lasciate un commento o un piccolo segnale della vostra visita. E sì, Guido, scrivere a mano è per me essenziale e poi sono soggiogato da quelle imprese di scrittura che assorbono un’ intera esistenza: Rayuela, Paradiso, Grande Sertao, Horcynus Orca, appunto…
Grazie per questa tua segnalazione così valida.
Immaginarti ricopiare tutto un libro di poesie a mano è bellissimo.
C’è magia in quella penna a biro, tenuta tra le dita, che traccia parole sul foglio. C’è un segreto “amore”.
Un sorriso
gb
Ho apprezzato molto la “chiusa” del tuo post.
Anche a te un grazie e un saluto; considero sempre un atto di squisita gentilezza lasciare un commento articolato e motivato.
Mi sembra il minimo lasciare le sensazioni che nascono dopo aver letto un post come il tuo.
Un saluto sorridente e grazie
gb
Di nuovo grazie a te.
Densa e icasticamente resa la testimonianza di Devicienti su un Autore,
Stefano D’Arrigo, che in pieno clima espressionistico, sulla scia in questo
d’un Maestro indiscutibile dell’espressionismo linguistico, il C. E. Gadda der
Pasticciaccio e della Cognizione del dolore, si è imposto come pensiero
poetante o poeta pensante più nitido e problematico nelle nostre patrie lettere. In Codice siciliano la critica più accorta ha individuato in fieri i temi
cari a D’Arrigo che poi avrebbe definitivamente consacrato nel suo capolavoro congedato come Horcynus Orca, ponendo accanto al poderoso
lavoro sul linguaggio il grande tema del “migrante”.
Lungo questo filo comune della ‘migrazione’ di alcuni siciliani verso il continente sto ultimando un mio lavoro su Ripellino-Cattafi-Marino-D’Arrigo
(alcuni stralci già li ho pubblicati su L’Ombra delle Parole).
La povertà di mezzi trasformata in ricchezza di saperi di Devicienti tocca profondamente altri universitari poveri (nel caso mio alla Sapienza di Roma)
per cui la pazienza e la fedeltà scrittorie vengano affidate a una biro, al tempo, alla benedettina pazienza.
Gino Rago
Gentile Gino Rago, grazie per questo Suo intervento, generoso e attento; aspetterò allora il completamento del Suo lavoro cui auguro ogni successo possibile.