
Alberto Giacometti: femme de Venise VIII (Fondazione Beyeler).
Un’altra dose di morfina, più forte. E non basta.
Eppure dura la scrittura,
pretende di venire fino alla superficie
di luce della lampada accostata al capezzale.
Parigi che stai oltre la parete cieca
e mi sei casa e officina di pensieri, di parole.
Affondato in questo materasso paralitico
ti vengo incontro senza posa
e scalpello figure come combuste
al furore della conoscenza, della visione,
nel nodo scorsoio della malattia,
nel sottoscala di rifugiato.
Spargo sul pavimento pallottole di fogli
vergati in una lingua tripla,
bella perché creola di tedesco, di francese e di rivolta
e se cercando la brocca dell’acqua
trovo sotto il letto frammenti
di volti, di gambe e di braccia
come combusti dalla forza furibonda
d’una mente instancata
mi chiedo se sono io o un altro
(che non conosco, che sogno ogni notte
nel dormiveglia).
Poi alle labbra m’affiora un verso
che vorrebbe dire
di donne veneziane che vanno varcando
l’acqua e la luna, che vanno
rasciugate di materia e fatte forma,
ma confondo la Laguna, la Senna e il Reno
e ti ascolto, mia Parigi, mia acqua
dove a rinascere
avrei poemi (e quanti!) (ancora) da scrivere.