Ci vuole un muto lavoro (su di un libro di Christian Tito)
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
Che cosa abbiamo saputo costruire noi, quelli nati a partire dagli anni Sessanta del Novecento, vale a dire coloro che hanno conosciuto fin da bambini l’Italia del cosiddetto benessere? Proprio perché più protetti dalle scosse della storia (almeno fino a un certo punto), proprio perché per la maggior parte di noi c’è stato un qual certo benessere materiale, siamo riusciti a smettere di essere figli per diventare genitori responsabili della vita di creature indifese?
Leggere la plaquette di Christian Tito Ai nuovi nati (edizione a tiratura limitata pubblicato dal Circolo Culturale Seregn de la Memoria, edizione degli Amici del Libro d’Artista, nella collana “Fiori di torchio” a cura di Corrado Bagnoli e Piero Marelli, con incisioni di Alejandro Fernández Centeno) mi ha fatto affiorare alla mente queste domande: c’è, deve venire nella vita di un essere umano il momento in cui smette di essere figlio (o figlia) per diventare padre (o madre) foss’anche di sé stesso, ma, comunque, persona adulta, capace di prendere decisioni motivate e autonome. Sul lavoro, nelle piccole incombenze della vita quotidiana, facendo la fila alla posta, la spesa al supermercato ho spesso la sensazione, al contrario, che apparteniamo a una generazione di “viziati” che non hanno mai smesso di essere figli e che pretendono che la vita dia loro “d’un colpo tutte le cose che crediamo di meritare” (le parole sono di Vittorio Bodini).
Leggere i versi di Christian è ossigeno per la mente:
Ti daranno infinite occasioni per piegarti
e tu non ti piegare,
basterà uno sguardo a certe facce
per sentire minacciata la tua fede,
ma tu credi, credi sempre figlio mio,
e non credere che ogni credo poi non muti,
ma dentro quel mutare qualcosa si conserva:
quel passarci dentro agli occhi un po’ di luce,
quel dirti a bassa voce solamente che ci siamo,
che per te volevamo solo esserci
e, miracolosamente,
nel miracolo della tua vita,
per un po’
ci siamo stati.
Il mio caro amico poeta ha raggiunto un’asciuttezza di dizione che, di per sé stessa, rende credibili e nobili i concetti espressi, s’affida a minime variazioni lessicali per spalancare prospettive nuove o inaspettate e, senza reboanti proclami, stigmatizza la colpa di una generazione che ha lasciato crescere e imporsi un sistema che esige dalle persone che si pieghino – ma Christian percorre la strada dall’essere figlio a diventare e essere padre dei propri figli cui, con la forza dell’amore, con una dolce fermezza che commuove, offre quel po’ di luce da passarsi gli uni gli altri dentro gli occhi.
Così chiedo agli avi i futuri codici
per attraversarla senza perdere niente questa nostra vita
per mettere in mio figlio e in tutti i figli
una traccia di senso possibile, un amore, una passione
per non perdermi pur perdendo continuamente
poiché la vittoria appare chiara e vacua in questo mondo
e a noi piace la piena ombra
poesia come massimo grado della sconfitta
poesia come massima distanza dalla resa
camminare a piccoli passi ma camminare
dire poche parole, ma dirle
perché noi crediamo nella parola
e forse più in quella data
prima ancora che scritta.
E Christian, che non gioca a fare il poeta, ma che la poesia vive dentro, ben dentro la sua quotidianità, talvolta amara e deludente, non può non confrontarsi con l’atto della parola, riuscendo a scrivere versi di meravigliosa verità:
poesia come massimo grado della sconfitta
poesia come massima distanza dalla resa
camminare a piccoli passi ma camminare
dire poche parole, ma dirle
perché noi crediamo nella parola
e forse più in quella data
prima ancora che scritta.
Continua il dialogo con “i nuovi nati” e in questi termini:
Meglio saperla
tutta la forza,
tutta la fragilità
se vuoi che si plasmi in forma d’uomo il tuo viso.
Allora nella notte non perderti d’animo,
nel chiarore resta sempre vigile.
C’è un fuoco da portare,
da passarci di mano,
da restituire alla terra.
Ecco: un poeta della generazione nata e cresciuta nel cosiddetto benessere, la quale forse non è stata colpevolmente capace di difendere e di accrescere la democrazia nel nostro Paese, con determinazione dice la necessità di essere coraggiosi, di rimanere vigili, di serbare quel fuoco che ci fa figli della terra e, quindi, umani. Christian raccoglie l’insegnamento del proprio padre, una delle molte persone che hanno vissuto con dignità e coraggio il proprio Sud e che l’ILVA di Taranto ha ucciso, e di un padre-fratello-in poesia (ma anche nella vita) ch’è stato Luigi Di Ruscio – con questo viatico invito a leggere il testo che segue:
Oggi diciassette febbraio dell’anno duemilaquindici
la terra ruota sotto le nostre suole
e mentre gira e tutti noi giriamo
sento il battito del mio secondo figlio
perso dentro quel ritmo penso al mio amico
ha un tumore al di sotto del cranio
perso
penso
prego che tra non molto
mani di uomini esperti,
ma spero anche buoni,
estraggano la vita dal ventre di mia moglie
e la morte dal cervello del mio amico
lui di figli ne ha già due
e i padri buoni sono pochi.
E conclude:
Ho tolto il relitto dal giardino, mamma
impediva all’erba di crescere
questa è la mia casa
qui ci sono i miei figli
ho aperto il cancello e l’ho lasciato andare
È difficile costruire un cancello, sai?
Ancora più che metterci dietro una casa
che sia la tua casa
senza lavoro non c’è mutuo
ma per questa mia casa
c’è voluto un muto lavoro
è stato quello
che mi ha insegnato a parlare
Caro, carissimo Christian, con commossa gioia ti dico grazie per queste pagine e spero, e m’ostino a sperare, la poesia sia sempre un atto di coraggio e di fiducia.
C’è un fuoco da portare
da passarci di mano,
da restituire alla terra ..
Vero, e di questo ringrazio lei, Antonio, per avermi permesso di conoscere Christian Tito, attraverso i suoi documentari e poi la lettura del suo delicato, profondo e interessante carteggio con Luigi di Ruscio.
Leggo ora qui le sue nuove poesie e penso che il Poeta C. Tito sia definitivamente nato e sia ora degno erede della poesia dell’amico Ruscio: ne vedo la stessa umanità, lo stesso fuoco e la stessa fede nella parola scritta, e data. E che parola!
Grazie di cuore.
Cara Vengodalmare, mi piacerebbe chiamarti col tuo nome che non so e mi piacerebbe sapere, anche se dal mare vengo pure io ( uno dei mari, come sai, tra i più belli e allo stesso tempo maltrattati d’Italia). Ti ringrazio molto per il passaggio, per la sensibile lettura, per le parole che spendi per la mia nascita definitiva. Io credo ci sia, in verità, nascita continua e, quando la vita mi appare bella, nonostante tutto quello che facciamo per imbruttirla, è perché le cose mi sembra di vederle così, come avvolte da una luce ancora nuova.
Bello incontrarsi qui, il padrone di casa lascia sempre porte e finestre aperte e ci troviamo in pochi in mezzo a tutta questa bellezza. Nonostante non ci siano serrature, i ladri non vengono a rubare qui…
Un abbraccio a te e, il milionesimo, ad Antonio.
Christian
Ciao, Chistian. Mi chiamo Marina e leggo con piacere la tua risposta.
Quando parlavo della nascita definitiva mi riferivo, più che al tuo percorso poetico che – come giustamente dici – è in continuo divenire e dunque sempre nuovo come sempre nuovi sono i moti umani che si esprimono attraverso la Parola, ad una mia sensazione di una maturazione espressiva della tua poiesis che diventa più lirica ed universale, come se tu avessi compiuto un passaggio, non so .. uno sguardo più intenso e compiuto sul mondo.
Non sono un’esperta, ci tengo a dirlo, ma solo una grande lettrice di poesia, dunque non ho la presunzione di sancire la nascita definitiva di un Poeta. Per me però tu lo sei. E poi ho così tanto amato il tuo epistolario con di Ruscio, che di poesia all’interno ne conteneva già tanta e bella.
Felice sono di poterti leggere.
Per quanto riguarda il padrone di casa – persona gentilissima e per me profondo conoscitore di vita e di versi, lui non lo sa che di frequente vado a trovarlo a Casa e spesso rubo i libri di cui parla con tanta maestria. Frugo anche tra i fogli sparsi sulla sua scrivania e sempre vi trovo deliziose poesie, pregne di memorie antiche e future, dal sapore dolce e amaro di terre lontane, sempre da raggiungere.
Grazie ancora.
Questo articolo è esattamente quello che ho pensato leggendo il libro di Christian, senza riuscire a scriverlo. Grazie.
Mi capita spesso quando leggo Antonio che parla degli altri, Guido, se può confortarti. A presto mio caro…
Grazie sempre a chi legge; grazie a chi lascia un messaggio. Grazie a chi si lascia abitare dalle parole.
Io non dimentico il bene che mi ha fatto il libro di Christian letto in un momento molto triste. Grazie ancora
Questo mi fa tanto tanto felice cara Fiammetta. Un abbraccio da qui. Chris