Per Salvatore Toma

di Antonio Devicienti. Via Lepsius

 

 

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Entri vestito d’una camicia di parole
(bianca. abbagliante)
e i muri di questo paese retrivo
e razzista si fanno incandescenti
bruciano i mortiviventi ‘nzerràti
nelle loro stupide case
e così brucia la pietraleccese
dopo secoli di falsa elegia
e la cartapesta dei santi fonde
liquida cola scorre
nella navata poi spinge al portale
di bronzo
spinge e l’apre sulla piazza
accanicolata
finalmente la canicola è una
col fuoco dell’irata poesia
che stringe alla gola gl’ignoranti
per soffocarli nella loro testarda inconsapevolezza
e calcinare la loro tracotanza di servi.
Dici parole di poesia
che sfondano finestre chiuse sulla
strada
e ne spargono taglienti lame di vetro
sull’ottuso appetito tacitato al tavolo
da pranzo. Finalmente
viene proclamata Libera Repubblica
d’antichi saggi animali
e di sapienti alberi
che governano il canto e il vento:
la loro non violenza sventra tutti i televisori
nel paese dei mortiviventi,
ha pietà del suolo intriso di veleni,
sbriciola la tracotanza peccaminosa
del cemento.
E noi, noi nuovi precari
e nuovi migranti,
noi ricchi di studi e di letture,
estenuati esteti senza passioni,
colti ed elitari,
impariamo da te
accogliendo in noi
il dolore e la delusione
la storia e la subalternità –
la memoria.