Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Mese: giugno, 2017

Au Café Andarta

 

 

Al Caffè ANDARTA si va per una birra ambrata
e parole d’amicizia

al Caffè ANDARTA le pietre antiche dei muri
e i legni viventi dei tavoli, dei pavimenti
hanno mari che generano montagne
e montagne spalancate di scrittura

e libri alle pareti che sussurrano parole
mentre il poeta ritaglia e incolla e scrive
scrive dipinge ritaglia e incolla

al Caffè ANDARTA viene a sedersi Bulgakov
e Margherita è con lui

su di un tovagliolo di carta
scrive con la stilografica quella lettera bellissima che
sembra una farfalla – Ж

e il tovagliolo si libra in volo sul
pianoforte del Caffè ANDARTA
dove Elitis suona Bach a memoria (par cœur)

poi il tovagliolofarfalla diventa
una carta stradale della Francia,
i sentieri della Drôme e del maquis,
un libro donato, un manoscritto di Char,
un colpo di pollice nella creta fresca,
la lampada sospesa sul tavolo al Caffè ANDARTA,
la macchina fotografica di Josef Sudek
e il suo braccio mancante-atto di poesia,
gli occhiali da sole di Pasolini,
una moschea di sabbia del Mali,
una copia di Lémistè

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(для Валентины и Yves)

 

 

 

Braccianti di Puglia

 

 

 

… in questi giorni guardo la mia scrittura e guardo le persone che mai l’incontreranno: non ha tempo né voglia la bracciante schiavizzata nei campi di Puglia di leggere le mie elucubrazioni architettate in testi di sapiente rettorica. E la mia scrittura, continuando a dispiegarsi anche qui, anche adesso rigo dopo rigo, accade proprio mentre braccianti schiavizzate vengono umiliate nei campi della dolce Puglia dove il bel mare attende migliaia di turisti innamorati delle orecchiette e degli spaghetti con pomodoro e cozze. E mi vergogno di questa scrittura così inutile e tanto vanesia, io nipote di contadini che conobbero il fascismo e la guerra e la grande speranza degli anni seguenti: e che la Puglia sarebbe diventata altro, non questa terra d’accampamenti di schiavi, non queste cisterne colme di veleni, non lo stesso binario, sempre lo stesso dell’emigrazione – e guardandoti, o mia scrittura, voglio che tu, almeno, non contrabbandi per vere le tantissime menzognere cartoline dalla Puglia , e pretendo che tu, vergognandoti di te stessa, cerchi uno sguardo consapevole e diretto – anche se mai ti leggeranno la bracciante sfruttata, il migrante impaurito, il negoziante taglieggiato …

 

 

(Segnalibri) dalla Costituzione della Repubblica italiana

 

 

Articolo 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

 

 

Incroci

 

 

Yves Bergeret pubblica nel suo Carnet de la langue-espace un articolo, corredato da proprie fotografie, dedicato al Battistero di Varese, cui fa seguire la sua traduzione di un mio breve testo dedicato e allo stesso Battistero e al Duomo di San Vittore, sempre nel centro di Varese; sono onorato e felice di questa nostra nuova collaborazione e pubblico qui il mio intervento redatto originariamente in italiano.

In una terra d’intenso passaggio, una sorta di corridoio naturale costituito dal territorio intorno al Lago Maggiore che unisce geograficamente l’Europa Centrale al Settentrione d’Italia, si trova Varese, città da sempre a vocazione mercantile e commerciale, la cui funzione era, fin dal Medioevo, anche di stazione di posta per il cambio dei cavalli e di mercato situato proprio in questa connessione tra Svizzera-Germania e Italia. Dal punto di vista religioso tutta la regione ha conosciuto (e conosce ancora) il Rito ambrosiano, in più tratti differente dal Rito romano – la conseguenza è che anche l’iconografia e il calendario liturgico posseggono delle peculiarità che possono essere leggibili nello spazio religioso quali chiese, battisteri, eremi.

Ho avuto il privilegio d’essere insieme con Yves Bergeret mentre quest’ultimo scopriva e si entusiasmava, leggendoli come solo lui sa fare, proprio gli spazi del Duomo di Varese e del Battistero di San Giovanni; ho visto attraverso i suoi occhi lo stratificarsi dei tempi e delle mani esecutrici negli affreschi parietali del Battistero, ho constatato e discusso con lui il convergere della cultura religiosa popolare con le motivazioni dei committenti (aristocratici o borghesi che fossero), ho fissato nella memoria il distribuirsi dello spazio, sempre colmo di luce e sempre ritmato dai mattoni e dalla pietra, capaci entrambi di essere materia vivente e pagine per un racconto immaginifico del rapporto tra l’uomo e la divinità.

Yves è capace di una concentrazione assoluta mentre osserva gli spazi e gli affreschi, le volte a crociera e le accidentate superfici dei portali di legno; fotografa con una precisione che, scopro, è la stessa, proprio la stessa degli antichi affrescatori: accostando di molto lo sguardo agli affreschi si vede bene il ductus sicuro e privo di sbavature delle linee di un volto o delle pieghe d’una veste – osservando Yves ci si rende conto del fatto che possiede uno sguardo sicuro e determinato, guida per le mani che orientano l’obiettivo affinché vengano colti, nelle pitture e nelle architetture, quei ritmi e quei volumi, quei colori e quelle screpolature delle pareti che formano, insieme, un poema di tempere, pietra, intonaco, forme geometriche DENTRO IL QUALE si sta, non più visitatori (o, peggio ancora, turisti, orrida parola), ma menti partecipi di un’ininterrotta continuità della rappresentazione, del racconto, del canto e della visione – ché spesso dimentichiamo di venire dopo generazioni e generazioni di sguardi che hanno visto quello stesso luogo, che ne sono diventate parte agente.

Il Battistero, dunque: sobria costruzione all’esterno, musicale aula articolata in tre spazi comunicanti tra di loro all’interno, quasi solo vestigio di una Varese medievale cancellata dal trascorrere dei secoli, il luogo in cui si veniva liberati dal peccato originale tramite immersione nella grande vasca ottagonale ricavata da un unico, enorme blocco di pietra, il Battistero è il convergere della pietra e del mattone (pietra e argilla, dunque, scalpello che scava e modella e fuoco che cuoce) con l’acqua purificatrice (Il Varesotto è regione d’acque, numerose e molteplici, acque di laghi derivanti dallo scioglimento dei ghiacciai e acque dei tantissimi fiumi che, scendendo dalle Alpi, s’incanalano traverso il lago Maggiore e il Ticino verso il Po, il grande fiume dell’Italia settentrionale, acque delle piogge e acque che s’accumulano nell’utero capiente delle montagne); e, contemplando le pitture superstiti, riconoscendo negli abiti e nelle posture delle figure il succedersi del tempo storico e culturale (dal Medioevo al tardo Rinascimento), immaginando i canti del rito battesimale e i movimenti degli attanti, l’accendersi di ceri e di candele, ci si inserisce in questa continuità di segni e d’idee.

E Varese e il Varesotto sono, non lo si dimentichi, terre di frontiera: non solo perché dirigendosi pochi chilometri a Nord si entra già nel Canton Ticino e si prosegue verso la Germania, ma anche perché proprio oltre le Alpi svizzere la Riforma luterana avanzava a gran

Yves ha con sé un taccuino, annota in maniera forsennata, si sposta nello spazio innanzi all’altare, è chiaro che sta cercando a velocità inaudita connessioni tra l’universo animista e queste rappresentazioni della Madonna del Rosario: i Misteri dolorosi e i gaudiosi, la copiosità d’immagini di decollazioni, di trafitture e d’ogni sorta di tortura visibili ovunque nella chiesa dicono d’una presenza del corpo davvero forte e fanno della Morte la grande Interlocutrice.

Il confronto con la morte, il tentativo di esorcizzarla proprio, paradossalmente, continuamente evocandola, o forse il desiderio di renderla familiare e quindi accettabile, la volontà di creare un’unica dimensione in cui vivi e morti sono compresenti e in dialogo, il sogno atavico di abolire il tempo cronologico paiono appalesarsi in quest’enorme spazio voluto dalla comunità, finanziato dal denaro sia comune che privato, consacrato a un culto in realtà politeista, pur sotto le mentite spoglie del monoteismo. Ma, lo sappiamo, c’è anche la presenza totalizzante della Chiesa tridentina che riafferma il proprio ruolo di unica via verso la salvezza, di unica depositaria del magistero, di unica ianua fidei. E il Rito ambrosiano, ricco di suggestioni orientali, bilancia con parti del culto legate alla liturgia della luce l’ossessione di morte, recuperando un’unità dell’universo altrimenti in pericolo.

Yves è affascinato dall’idea di frontiera, ne ha appena scoperta una che corre, qui, tra Nord e Sud, tra Protestanti e Cattolici, tra genti di lingua tedesca e genti di lingua italiana – e frontiera vuol dire concomitanza, permeabilità, ponte e passaggio, confronto e riflessione intorno ai conflitti, alle incomprensioni, alle diffidenze. Una frontiera interiore da riconoscere in immagini e opere in pietra, in quest’inesausto andare da dentro a fuori, da fuori a dentro.

 

 

Poesie per la luna scalza

 

 

 

 

(al poeta e amico in viaggio)

Chi transita scalzo innanzi alla soglia
della casa
ha mente di creatura della terra
ed è benvenuto.
Come un pio musulmano s’inginocchia
sul cammino radiante del mattino,
poi lava le mani con la polvere del suolo.

 

Chi ha incrociato Don Quixote
in un mattino di brezza marina
a Barcellona
conserva nelle tasche della giacca
pezzi di sole, parti d’un meccano
da combinare e ricombinare
secondo il giuoco serissimo dell’andanza.

 

Sacro il silenzio della controra.

Controra è Repubblica
dove il meravigliarsi ha cittadinanza
e i libri, compulsati uno a uno,
splendono di solitudine.

 

L’impronta dei piedini di bambino
resta a tagliare il mare,
anche molto dopo l’annegamento.

L’impronta della mano calcinata di bambino
resta a premere l’asfalto,
anche molto dopo l’esplosione della bomba.