Quale Cantiere per la parola?
E segnalo, inoltre: Il tratto che nomina sulla Dimora del Tempo sospeso.
Carnet de la langue-espace: Hommage aux tués du 25 janvier.
E segnalo, inoltre: Il tratto che nomina sulla Dimora del Tempo sospeso.
Carnet de la langue-espace: Hommage aux tués du 25 janvier.
Caro Yves,
avverto l’esigenza di rendere pubblici i pensieri che mi si sono affacciati alla mente perché da molto tempo a questa parte discutiamo, tu e io, quotidianamente e appassionatamente della scrittura e del suo legame inscindibile con gli accadimenti nei quali siamo immersi; siccome Via Lepsius non è e non vuole essere uno spazio di giochi intellettuali più o meno raffinati, più o meno colti, tengo a dire che sento come un privilegio, un onore e uno stimolo continuo alla riflessione e alla comprensione il dialogo con te, con la tua scrittura, con i tuoi libri, con la tua instancabile attività intellettuale ed etica – ecco: è sul fatto che lo studio, la scrittura, l’arte siano per te e per me atti etici e politici che intendo soffermarmi e lo faccio riferendomi in particolare al percorso di Carène, il tuo poema drammatico tradotto con passione e totale partecipazione da Francesco Marotta; Carène sta seguendo un percorso di mises en scène e di letture complesso e significativo, sta richiamando l’attenzione di molte persone ognuna delle quali ha compiuto un percorso personale e culturale proprio, come spesso ti ho scritto mi sembra che Carène possegga un’energia, una necessità, una coerenza sue proprie capaci di farla proseguire lungo sentieri non sempre facili, ma significativi ed è bene che Carène susciti dibattito, attenzione, volontà di capire, meraviglioso è che ci siano persone che vogliano leggerla in pubblico e dibatterne, oppure portarla ancora e ancora in scena – e lo scrivo proprio in un momento in cui nel mio paese capi politici senza scrupoli e senza onestà intellettuale, probabilmente anche privi di cultura storica e di capacità di comprendere quanto estremamente complessi siano ogni situazione, ogni fatto, ogni argomento di discussione, riaffermano e diffondono e legittimano convinzioni fasciste e razziste, alimentano un clima d’intolleranza e di rifiuto, di violenza verbale che facilmente si trasforma in violenza fisica, inventano parole d’ordine semplificatrici e bugiarde.
Inoltre tu e io ancora ci arrabbiamo e ci meravigliamo del fatto che ci siano persone che pensano l’arte come intrattenimento o sublimazione della realtà, come momento di sogno o di evasione; sentiamo ripetere che “la bellezza salverà il mondo”; forse la verità è che tu e io siamo degli ingenui, o che non abbiamo saputo vedere. Forse, nel nostro perseguire non un’arte “realista”, ma un’arte che vuol essere saldamente ancorata alla realtà storica, politica e sociale nella quale siamo immersi, non ci siamo accorti che molte persone guardano altrove e s’attendono un’arte “bella”, estetizzante e consolatoria, arte che con disprezzo chiamo “da sartine dell’Ottocento” (sono molti i sartini e molte le sartine colmi di buoni sentimenti che imbastiscono le loro opere confezionandole “comme il faut”); e invece anche ora, per l’ennesima volta, voglio ribadire la mia convinzione che l’arte non può e non deve voltarsi da un’altra parte, che pesa su ogni cittadino la responsabilità d’opporsi ai fascismi e ai razzismi, alla violenza e all’intolleranza: l’artista, il critico, l’attore, lo scrittore è un cittadino e, nella polis, egli ha in quanto tale una precisa responsabilità e un dovere altrettanto preciso di vigilanza, di attenzione e di consapevolezza – non maggiore rispetto agli altri cittadini, ma eguale e ineludibile.
Mi ripeti spesso, nei tuoi messaggi, “nous avançons”, “noi andiamo avanti”, caparbi e coerenti con le nostre convinzioni e con le nostre scelte; e mi dà sempre forza leggere il motto che hai posto in calce ai tuoi messaggi: “confort est crime, me dit la source en son rocher” (sono le parole di Char, del poeta combattente e resistente, del poeta capace d’immani furori e di fortissime proteste contro chiunque tentasse di privare le persone della loro libertà, della loro dignità, della loro umanità).
La parola di Carène continui, dunque, a percorrere i sentieri d’Europa, desti coscienze e infranga l’indifferenza e l’ignoranza (so che, in ogni parte del pianeta, anche il diffuso basso livello d’istruzione è causa d’intolleranza e violenza e noi, che abbiamo fatto della parola orale e di quella scritta perno del nostro esistere, noi non lo dimentichiamo, perseguiamo una parola capace di abbattere superstizioni e odi, quella parola dialogante che distrugga finalmente l’eurocentrismo razzista e l’estetismo soddisfatto e pago di sé).
“Tutto l’orgoglio, l’entusiasmo, il colorato riso
di felicità capivano nella mia biblioteca: non m’intristisce
che mi credano gretto codino, ma
che sospettino in me invidia per Giacomo:
ho servito la Chiesa con convinzione e fermezza,
ai miei figli dischiuso i labirinti infiniti
della biblioteca: l’errore fu, invece, voler
fare di lui un altro me.
Non l’ho capito, l’ho amato quel figlio:
e sia quest’amore riscatto
dei miei orgogli d’erudito,
la sua morte abissale assenza
a vegliarmi la solitudine”.
Le onde invernali dal Baltico irrompono
fra l’immobile franare delle fortificazioni
degli Zar – biancheggiano i blocchi abitativi
d’era sovietica schierati sotto un cielo
di pomeriggio tardo. La storia
e il tempo non combaciano
a Karosta perché il tempo è
uno sguardo stordito di vento e salsedine –
la storia sanguinosa sequenza
di speranze tradìte. Se
accumula polaroid sbiadite dentro
scatole di cartone è per devozione alla
luce che salendo dal Golfo di Finlandia s’irraggia
tra i finestroni della fabbrica di locomotive.
Jacques Henri Lartigue: “Le Zyx 24 s’envole… Dédé et Robert essaient de s’envoler aussi”, settembre 1910
La volpe, che libera s’aggira nella foresta innevata,
suscita riprovazione e odio. Al margine
del villaggio un impresario di milonghe ha preso
in gestione il molto malmesso campo di volo
(ma disprezza i banchieri cui mai chiederà un prestito).
Raccoglie lacerti di scrittura dentro scatole
per le scarpe e s’accumula l’opera,
s’inabissa.
Quasi tutti i grandi poeti sono morti: i pochissimi
ancora in vita hanno capovolto il tempo, beffano la morte,
ignorano i nanerottoli scribacchini.
Per lente passeggiate l’impresario di milonghe porta con sé
l’ombrello (non solo per i giorni di pioggia),
l’appoggia al paracarro, scruta gli alberi della foresta, attende.