
Marino Marini a Berlino nel 1967 mentre ritrae Ludwig Mies van der Rohe.
M. v. d. R.: Mi commuove pensare
che questo ritratto, caro amico,
sia nato dalle sue mani:
la immagino lavorare il gesso
informe, terra e acqua, un grumo
di materia da manipolare,
da portare vicinissima alla forma
che la mente ha immaginato.
Quale luogo nel corpo umano
più spirituale della testa?
Ma sono state le mani
a lavorare, le mani
a sporcarsi delle sostanze
collose e gessose della materia.
M. M.: Vivo giorni a pensare
una testa, ore di meditante
sprofondamento.
Il volto, lo sguardo, le rughe, la curvatura del cranio,
la sporgenza delle tempie,
ma non è “naturalismo”, lei comprende:
né quella che gl’idealisti chiamano “essenza”.
Quello che cerco sta dentro
la terra e dentro il pensiero.
Contemporaneamente.
M. v. d. R.: Lo chiamo “abitare”:
si abita l’atto di sorseggiare un caffè,
di leggere la Montagna
Magica, di disegnare una veranda
che dà sul bosco: e anche l’atto
di portare fuori la spazzatura,
di vedere le proprie mani invecchiare.
M. M.: I colpi dei polpastrelli
e della spatola nel gesso sono
l’alfabeto di questo nostro invecchiare
che ci avvicina alla felicità
d’una misura inseguita e quasi trovata
fra noi
e il mondo.
Vivere, amico caro, mi sembra
sempre un avvicinamento,
l’appressarsi del tatto
alla materia,
del respiro al tempo che l’accoglie
e lo dimentica.

Ritratto in gesso (1967, Museo Marino Marini di Firenze).