Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Mese: gennaio, 2021

Su Genova scalena, Caterina Fieschi Adorno e altro ancora (attraversando “L’opera in rosso” di Massimo Morasso)

 

Ripropongo da Via Lepsius un mio saggio relativo al libro di Massimo Morasso L’opera in rosso che avevo già pubblicato tempo addietro su Carteggi Letterari; la stesura proposta qui è in alcuni punti differente dalla precedente e aggiornata anche in riferimento ai libri più recenti dell’autore genovese (A. D.)

 

 

L’opera in rosso, libro edito da Passigli nel 2016, possiede quella serietà di concezione e di costruzione artistica, intellettuale, etica di cui abbiamo bisogno se vogliamo che la scrittura continui a rivendicare il diritto di farsi ascoltare e il proprio ruolo di presenza in mezzo agli uomini – non avrebbe senso, altrimenti, prendere in mano un nuovo libro di versi, leggerlo, attraversarlo se tale libro non fosse in grado di segnarci la mente, ferirla se necessario, comunque destarla. E L’opera in rosso nasce nello e dallo stesso alveo di un altro libro pure necessario di Massimo Morasso, intendo dire Il mondo senza Benjamin (Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2014): la Nota dell’Autore che chiude il volume Passigli inizia con la lapidaria affermazione «questo libro è stato scritto nel 2014» (p. 103), il libro Moretti & Vitali giunge in libreria, lo ripeto, sempre nel 2014, intercorrono due anni tra la stesura dell’Opera in rosso e la sua pubblicazione, in ogni caso s’intuisce la continuità nella ricerca di Massimo Morasso, dimostrata, oltre che in termini temporali, in quelli tematici e bibliografici e questo è uno dei motivi per cui costruirò quest’attraversamento in parte anche in forma di spola tra i due libri (esistono una complessità e una ricchezza notevoli e rare nel lavoro morassiano, per cui nessuno dei libri dell’autore genovese resta isolato rispetto agli altri). Leggi il seguito di questo post »

Scrittura e mondo: leggendo un libro di Massimo Morasso

 

 

Sono tre i motivi per i quali scrivo qui del libro L’amore, il silenzio e la bellezza nella poesia di ogni tempo e paese (AnimaMundi Edizioni, Otranto 2020): per la stima che nutro nei confronti della scrittura di Massimo Morasso, per il pregio del libro in questione e per il piacere che mi procura il fatto che proprio una Casa Editrice salentina, animata da entusiasmo e forza progettuale, ne abbia consentito la pubblicazione.
Dico subito che – al di là del titolo che potrebbe trarre forse in inganno facendo pensare a un (noioso) manuale o a un (altrettanto noioso) catalogo-antologia – queste pagine sono, invece, un’ulteriore, convincente tappa della scrittura di Massimo Morasso: si continua infatti qui una ricerca che perfettamente comprendo e condivido, orientata com’essa è a trovare ritmi di scrittura che non si rinchiudono in “generi” precostituiti, ma, nutriti delle migliori voci poetiche e filosofiche del passato e della contemporaneità, sanno armonizzarsi fino a dare vita a queste pagine le quali, partendo ognuna da pochi versi di autori molto amati e molto studiati, si articolano, modellandosi sull’esempio della kleine Form, in passaggi meditanti, passaggi lirici, passaggi sentenziosi. Leggi il seguito di questo post »

Via Lepsius: Sul concetto di “scritto”

 

Pierre Tal Coat: Comme si en marche (acquaforte e acquatinta, 1980).

 

Da gran tempo penso ai miei testi in termini di “scritti”, il che significa per me che li penso paesaggi della scrittura all’interno dei quali vengano a sciogliersi i confini tra poesia e prosa, tra testo d’invenzione e saggio, tra ritmo lirico e ritmo narrativo o speculativo.
Ogni “scritto” ha, nello stesso tempo, ambizioni d’eleganza stilistica e di rigore ermeneutico, d’inventività fantasticante e immaginativa e di disciplina di studio.
Uno “scritto”, essendo già di per sé paesaggio, si dispiega nella sua molteplicità di aperture e di soglie, è esso stesso continuamente soglia tra due o più spazi-paesaggio e, al proprio interno, possiede numerosi punti di transito con l’esterno (soglie permeabili e mobili, appunto).
Il gruppo di “scritti”, poi, si dà a vedere quale costellazione di tali paesaggi della scrittura, caratterizzati da emersioni e ri-emersioni d’idee, immagini, fatti, nomi e altrettanto ricchi di rimandi, accenni, allusioni, anticipazioni, perché dev’essere la vitale mobilità del pensiero, il pensiero nella sua necessaria mobilità a trovare nei diversi “scritti” la propria (mai definitiva, però) attuazione.
Ogni “scritto” dev’essere infatti una modulazione del respiro, e l’intendo in senso sia letterale che metaforico, così che ogni “scritto” presuppone e prepara il successivo, è paesaggiopaesaggi) in fase d’inspirazione e, al contempo, d’espirazione, è scrittura che cerca la propria durata – e non in senso temporale, bensì nel senso di ritmica del pensiero e di venuta a esistenza di quel medesimo pensiero il quale, di conseguenza, si articola, si dispiega, magari anche si contraddice o nega, ma sempre si muove e trascolora e screzia.
Ogni “scritto” è, dunque, un’andanza dentro il paesaggio ch’esso, pure, è, e queste andanze, scaturite ognuna per gioia intima ch’è sostanza stessa del pensiero, si possono chiamare anche stanze o sentieri di un poema in fieri, di un canto che inizia là dove inizia il respiro.

 

 

 

 

 

Giorgio Agamben: studenti

 

Il 15 maggio 2017 sul sito della Casa Editrice Quodlibet compare il primo intervento a firma di Giorgio Agamben nella rubrica Una voce; lo riporto qui di seguito, sottolineando come la “voce” di Agamben continui a essere avversa a ogni acritico e supino conformismo.

Sono passati cento anni da quando Benjamin, in un saggio memorabile, denunciava la miseria spirituale della vita degli studenti berlinesi e esattamente mezzo secolo da quando un libello anonimo diffuso nell’università di Strasburgo enunciava il suo tema nel titolo Della miseria nell’ambiente studentesco, considerata nei suoi aspetti economici, politici, psicologici, sessuali e in particolare intellettuali. Da allora, non soltanto la diagnosi impietosa non ha perso la sua attualità, ma si può dire senza timore di esagerare che la miseria – insieme economica e spirituale – della condizione studentesca si è accresciuta in misura incontrollabile. E questa degradazione è, per un osservatore accorto, tanto più evidente, in quanto si cerca di nasconderla attraverso l’elaborazione di un vocabolario ad hoc, che sta fra il gergo dell’impresa e la nomenclatura del laboratorio scientifico. Leggi il seguito di questo post »

Via Lepsius: dietro lo specchio

 

 

Pierre Tal Coat, litografia del 1976 apparsa sulla rivista “Derrière le miroir”.

 

 

Dietro lo specchio, sulla parete, a fil d’intonaco, dove cominciano i paesaggi del pensiero, dove s’avviano le traversate e i racconti.