Flavio Ferraro: Il silenzio degli oracoli
Esce Il silenzio degli oracoli (Poesie 2009-2016) di Flavio Ferraro (editore L’arcolaio), con uno scritto di Antonio Devicienti.
Esce Il silenzio degli oracoli (Poesie 2009-2016) di Flavio Ferraro (editore L’arcolaio), con uno scritto di Antonio Devicienti.
Distinguo accuratamente tra Popolo ebraico e Stato d’Israele, tra antisemitismo e critica serrata al fascismo e al razzismo che sembrano imporsi negli ultimi anni in Israele, credo nel diritto degli Ebrei e dei Palestinesi a uno Stato indipendente e libero, credo nel diritto dei Palestinesi all’autodeterminazione, mi oppongo alle complicità e ai silenzi di gran parte degli Stati e di moltissimi intellettuali; leggo su Doppiozero quest’intervista e dal mio minuscolo spazio di Via Lepsius mi provo a darle eco: Che cosa sta succedendo in Palestina?
Ricordo, tra l’altro, che Maria Nadotti è la traduttrice italiana di John Berger, del quale è stata amica, che Berger conosceva molto bene la situazione palestinese cui ha dedicato diversi suoi libri e articoli, così come Maria Nadotti stessa che ha trascorso ripetuti e prolungati soggiorni in Palestina.
Leggo, apprezzo e avverto il desiderio di commentare questi testi in versi che Marilena Renda pubblica in uno spazio raffinato e molto stimolante: Morel – voci dall’isola.
Si tratta di un contrappunto in versi al mito di Proserpina/Persefone, come specifica l’autrice nella presentazione, si tratta in particolare d’immaginare «qualcosa della sua vita» durante i mesi che trascorre nell’Ade in attesa della primavera.
Al di là della fecondità ininterrotta dei miti, della loro presenza e pregnanza di senso, nel caso presente esiste la connessione con la “sicilianità” del mito di Proserpina in perfetta coerenza con il libro più recente di Marilena (Fate Morgane), ma, tengo a dirlo, non è questo l’aspetto decisivo: sì, invece, lo sviluppo di un quaderno che racconta l’amore e il rapporto con il mondo, con la luce e col buio, la maturazione attraverso il sesso e l’amore di una femminilità che, pur offesa dalla violenza, conquista la consapevolezza di sé e dei propri sentimenti, diventa persona attraversando il buio e l’enigma e conquistando la lucidità necessaria per vedere e comprendere sé in rapporto con la madre, con Ade, con un mondo infero in quanto appartenente alle regioni inabissate della psiche.
Certamente il Quaderno di Persefone è ciclo più ampio e preludio a un libro futuro, ma i testi qui anticipati conducono la poesia nel mondo infero dell’amore e della conoscenza di sé, vale a dire nel mondo velato e sotterraneo, magmatico e vitale per rovesciato paradosso: Ade e Proserpina, divinità dei morti, in questi versi di Marilena esperiscono una passione che li conduce oltre sé stessi, partecipi del ciclo della natura che è, appunto, morte invernale e rinascita primaverile, sottrazione dalla luce e restituzione alla luce.
Forse è riconoscibile una tensione metamorfica di segno empedocleo restituita tramite un linguaggio a sua volta mobilissimo ed espressivo, convincente anche grazie al verso libero, mentre, nello stesso tempo, ogni testo s’accampa in architetture rigorose e simmetriche, come se il disordine iniziale dovuto alla violenza e all’oscurità del proprio destino si risolvesse poi nel conquistato amore, nella maturazione dell’età acerba e spensierata, nella dialettica tra mondi apparentemente opposti (luce/buio, sopra/sotto, prima/dopo, freddo/caldo) che determina il passaggio dallo stadio dell’inconsapevolezza a quello della coscienza.
E il quaderno è un andirivieni tra luoghi e momenti della storia mitica, esito di oscillazioni tra opposte sponde, variazioni intorno a un mito che non smette di parlarci perché contiene i segreti del nostro stesso essere emersi alla nascita ed esserci incamminati verso la coscienza – e la poesia torna a essere il canto, la sintassi, il ritmo per provare a dire tutto questo.
Francesco Dalessandro pubblica presso le Edizioni dell’Associazione Culturale Contatti di Genova Fammi lezione, Musa.
Come talvolta accade quando la traduzione è non solo efficace, ma anche condotta con sapiente acribia linguistica e filologica, con partecipazione emotiva, con il totale dominio dei mezzi espressivi, difficilmente si potrebbe negare che, leggendo i Sonetti, la ballata La belle dame sans merci e Tre poesie per Fanny di John Keats, non si stia leggendo anche la poesia “in proprio” di Francesco Dalessandro. Certo, il poeta si è messo letteralmente al servizio della poesia di Keats, Dalessandro offre, insieme con le traduzioni, dei lucidi e partecipati commenti alla Ballata, alle poesie per Fanny e una nota del traduttore in chiusura del volume, ma la bellezza dei testi italiani (preferisco definirli così, non “in” italiano) pretende che si guardi alla traduzione come una delle due (necessarie) rive di chariana memoria (l’una per l’andata, l’altra per il ritorno) tra le quali scorre l’unico fiume della poesia.