Nella spirale
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
Viene pubblicato oggi per le Edizioni Industria & Letteratura il libro di Gianluca D’Andrea Nella spirale (Stagioni di una catastrofe).
In un messaggio privato Gianluca mi scrive di considerare l’opera un prosimetro e in effetti il libro (elegantissimo nel suo taglio tipografico, impreziosito dalla copertina di Francesco Balsamo e dai sette disegni a colori all’interno di mano di Vito M. Bonito – postfazione di Fabio Pusterla) continua, sviluppa e raccoglie tutto quello cui Gianluca ha lavorato finora in sede di scrittura in versi, scrittura critica, scrittura di teoria della letteratura e della poesia; “raccoglie” nel senso che gli stimoli, le riflessioni, le scoperte del lungo e fecondo tempo che ha preceduto Nella spirale concorrono a dar vita a questo complesso lavoro.
È un lavoro ambizioso perché facendo riferimento (e le cita esplicitamente) a molte voci di poeti, filosofi, sociologi, economisti, scrittori si confronta con la complessità estrema del nostro reale e cerca una scrittura che, appunto, travalichi i singoli “generi”, che, in maniera estremamente avvertita e decisa, si lasci alle spalle ogni attardata (per quanto nobile) tradizione: i modi di scrivere del passato (anche recente e recentissimo) non sono più sufficienti per dar conto della realtà dentro cui siamo immersi – stiamo, infatti, “nella spirale” e l’urgenza consiste nel cercare e nel trovare uno sguardo il più possibile lucido, capace d’individuare coordinate e direzioni, se ce ne sono.
Nella scansione stagionale a partire dalla primavera Gianluca D’Andrea attraversa una “catastrofe” la cui etimologia greca significa, a rigore, “rivolgimento, capovolgimento”, ma che conserva in lingua italiana una connotazione negativa – qui mi piace sottolineare come i differenti testi sia in prosa che in versi, sia di carattere speculativo che inventivo-narrativo, sia visionari che meditativi approdano nella sezione “invernale” a una convincente commistione linguistica tra italiano e dialetto siciliano e a una strutturazione in forme chiuse che, lungi dall’essere una sorta di regressus ad uterum delle origini della poesia stessa e della lingua, sono, invece, nel solco della matrice dantesca dalla quale Gianluca non si distacca mai e nello spirito dello Hölderlin recluso a Tubinga, geometrie di pensiero e di percezione, mobilissimi itinerari esplorativi e speculativi, modulazioni della lingua, del pensiero, del testo stesso, così polimorfo e, nel medesimo tempo, così coerente, sorvegliatissimo, felicemente mantenuto sul discrimine arduo tra il suo toccare e addentrarsi nell’informe e nell’oscuro e la sua lucidità di sguardo – i “tempi e modi del contatto” e i rinnovati “transiti all’ombra” sono diventati, da oggi, una spirale dentro la quale addentrarsi (e se mi si proponessero altre immagini capaci di rappresentare questo libro, non disdegnerei quella di un “arcipelago” vastissimo all’interno del quale navigare oppure quella di un “pluriverso” o ancora quella di numerosi specchi che talvolta si riflettono l’uno nell’altro, talaltra riflettono quel che giunge loro dall’esterno).
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