Su due libri di Gianluca Virgilio
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
È mio dovere premettere che sono ben consapevole che andrò a usare termini non proprio rigorosi in sede critica e che i due libri di cui vado a scrivere mi coinvolgono non poco a livello personale – non che non sia stato così anche per quelli di cui ho scritto negli anni, ma questa volta il mio coinvolgimento è dovuto, tra l’altro, a un motivo generazionale: Zibaldone salentino (Edit Santoro, Galatina 2020) e Infanzia salentina (Edit Santoro, Galatina 2019) di Gianluca Virgilio potrebbero essere benissimo il racconto della mia infanzia e della mia giovinezza salentine, almeno per quel che riguarda certi sentimenti, certe percezioni, una temperie psicologica e culturale che è anche la mia; Gianluca propone riflessioni e narra fatti nei quali mi riconosco totalmente, che toccano il mio vissuto e la mia memoria.
La cordialità è uno dei tratti distintivi di questi libri, un atteggiamento cioè di umana partecipazione e comprensione e il desiderio, semplice e diretto, di coinvolgere il lettore in una storia amata e il cui portato continua ad arricchire il presente. La conseguenza è uno stile piano e chiaro, capace di non perdere mai di vista l’obiettivo che è quello di farsi leggere con piacere e, appunto, con partecipazione.
Da tempo sono convinto che esista una salentinità (non escludente e non sciovinista, sia chiaro!) la quale consiste di un paesaggio interiore che ha le proprie solide radici nella civiltà contadina di cui la generazione di Gianluca e mia è figlia diretta. Tale salentinità è accompagnata dalla piena consapevolezza che quella civiltà è ormai estinta, ma questo non significa né nostalgia né passatismo, bensì la cura di un’identità che nulla ha a che fare con le devastanti mode che vendono (e svendono) il Salento alle masse dei turisti inconsapevoli di quello che vedono o ne inventano una percezione per scopi esclusivamente commerciali.
Leggere questi due volumetti di Gianluca Virgilio significa immergersi in un Salento che commuove e intenerisce; il racconto delle diverse stagioni dell’anno a Galatina (la cittadina in cui Gianluca vive e lavora), delle vacanze a Santa Maria di Leuca, delle visite domenicali alla famiglia materna a Corigliano d’Otranto, dei pasti familiari, della biblioteca paterna (anche specchio di un padre amato e ammirato), della presenza sempre sollecita della madre (cui Infanzia salentina è dedicato) e di tanti altri episodi (numerose le pagine che raccontano della scuola e dell’attività di insegnante), questo racconto, dicevo, ha l’intonazione della voce amica che si abbandona, commossa e dolce, alla rievocazione perché il presente assume profondità e significato proprio in ragione di quegli accadimenti più o meno lontani nel tempo, ma fondanti e decisivi.
Questo Zibaldone, esplicito richiamo leopardiano, quest’infanzia, altrettanto esplicita dichiarazione memoriale, si accostano in un dittico capace di coinvolgere in una lettura che non sa più fermarsi se non raggiungendo l’ultima pagina – e lasciando il dispiacere che il racconto sia già finito.
Antonio Prete scrive un bellissimo Preludio a Infanzia salentina nel quale narra di propri ricordi d’infanzia che perfettamente “consuonano” con le pagine di Gianluca Virgilio e scrive anche una Prefazione allo Zibaldone salentino evidenziandone la natura di «limpida autobiografia intellettuale» e di «racconto di un mondo possibile: un mondo in cui il libro e la vita possano davvero essere in perpetuo e fruttuoso dialogo» (p. 9); Infanzia salentina si avvale anche di un’indimenticabile Nota critica firmata da Annie e Walter Gamet, due viaggiatori francesi che, durante l’estate del 2009, avevano acquistato in una libreria di Galatina la prima edizione del libro iniziando a trasporlo in francese: era nata così un’amicizia con lo scrittore salentino che si è andata consolidando negli anni e che ha fruttato diverse traduzioni in francese dei libri di Gianluca e, infine, questa “seconda edizione riveduta e accresciuta” di Infanzia salentina che mi fa enorme piacere presentare oggi qui su Via Lepsius.