Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Categoria: concatenazioni

Il giardino di Teofrasto / der Garten des Theophrast

                    Meinem Sohn

Wenn mittags das weiße Feuer
Der Verse über den Urnen tanzt,
Gedenke, mein Sohn. Gedenke derer,
Die einst Gespräche wie Bäume gepflanzt.
Tot ist der Garten, mein Atem wird schwerer,
Bewahre die Stunde, hier ging Theophrast,
Mit Eichenlohe zu düngen den Boden,
Die wunde Rinde zu binden mit Bast.
Ein Ölbaum spaltet das mürbe Gemäuer
Und ist noch Stimme im heißen Staub.
Sie gaben Befehl, die Wurzel zu roden.
Es sinkt dein Licht, schutzloses Laub.




Figlio mio,
quando a mezzogiorno il fuoco luminoso
dei versi danza al di sopra delle urne,
ricorda, ricordati di coloro
che un tempo piantumarono conversazioni come alberi.
Morto è il giardino, s’appesantisce il mio respiro,
conserva e difendi quest’ora: qui veniva Teofrasto
a concimare il terreno con sminuzzata scorza di quercia,
a fasciare con la rafia la corteccia ferita.
Un olivo sgretola il muro marcito
e parla ancora una voce nella polvere caldissima.
È giunto l’ordine d’estirparne le radici.
Ecco: crolla la tua luce, o pianta indifesa.

         Quando nel 1962 il poeta Peter Huchel, caporedattore della rivista Sinn und Form, fu costretto dal governo della DDR ad abbandonare il proprio incarico, pubblicò nel secondo numero della rivista (l’ultimo da lui diretto) di quell’anno ’62 un gruppo di sue poesie che erano al tempo stesso un congedo da Sinn und Form e una trasparente critica al sistema politico e culturale della Germania Est; uno dei testi più espliciti e commoventi s’intitola “Il giardino di Teofrasto” che propongo nella versione originale e nella mia traduzione.

         Peter Huchel, caporedattore fin dal 1949, portò Sinn und Form a diventare una rivista prestigiosa a livello internazionale, ma le sue posizioni poco accomodanti e spesso critiche nei confronti del regime lo resero inviso all’apparato politico e culturale della DDR fino a costringerlo alle dimissioni. Nei decenni successivi e anche dopo la riunificazione della Germania Sinn und Form si è confermata rivista prestigiosa e luogo d’incontro e di confronto dei migliori intellettuali e scrittori internazionali (non solo tedeschi).

         Nelle ultime settimane una sentenza giudiziaria impedisce a Sinn und Form di essere pubblicata, in quanto, secondo l’accusa formulata dalla rivista Lettre international, Sinn und Form, edita dall’Akademie der Künste di Berlino, riceve sovvenzioni statali in violazione della libera concorrenza e del libero mercato. Ovviamente la polemica e la discussione sono molto accese in Germania e gli ulteriori sviluppi della vicenda restano imprevedibili.

        Per la mia sensibilità di lettore e di appassionato germanista i versi di Peter Huchel sembrano assumere una nuova attualità – non è più un regime totalitario, ma il totalitarismo dell’economia e della finanza (ormai unico parametro di giudizio, sembra, in ogni ambito del vivere umano) a decidere il destino del libero dibattito e della letteratura.

Sorrisi e risate (di Gianluca Virgilio)

 

 

Ogniqualvolta ho cercato di risalire indietro nel tempo, nel tentativo di individuare con precisione il momento esatto in cui, da bambino, mi accadde di perdere il sorriso, sono sempre andato incontro al fallimento e ho dovuto constatare che i miei sforzi erano vani. La stessa cosa dicasi del tentativo, reiterato molte volte, di capire quali siano state le cause della mia perdita del sorriso. Mi sento giustificato se considero che nell’età adulta non è facile recuperare situazioni e stati d’animo vecchi di mezzo secolo, e anche più. Ero molto piccolo, avrò avuto tre, quattro anni appena, o forse meno: anche questo non posso precisarlo con sicurezza. L’unico fatto certo è che, quando questo mi accadde, ne ebbi subito contezza; a tal punto che, da allora, ho diviso la mia vita in due parti: prima e dopo la perdita del sorriso.  Leggi il seguito di questo post »

Romanzi dimenticati (di Gianluca Virgilio)

 

Vecchi romanzi dimenticati, scritti da autori un tempo famosi, libri mai più ristampati e che capita di comprare per un euro cadauno in qualche mercato dell’usato. Li ricerchi in una scatola di cartone a bordo della strada nei mercatini ambulanti oppure alla periferia della città nei magazzini del rigattiere; e quando ti capita di trovarne uno tra cento libri umidi e polverosi, ti sembra di esumare un defunto. È lì, tra manuali scolastici inservibili e codici di leggi abrogate e ancora sotto un’ammuffita enciclopedia, che un tempo faceva bella mostra di sé in un salotto borghese, oppure tra vecchi libri di medicina ormai superati; ti si rivela come il residuo d’una professione, un concentrato di tempo libero che uno sconosciuto – una fanciulla di buona famiglia, un amante deluso, una vecchia zitella, un uomo à la page – molti anni fa gli ha dedicato a margine della sua attività: il libro d’evasione e d’amore d’un Virgilio Brocchi, d’un Luciano Zuccoli, d’un Guido da Verona, d’una Milli Dandolo… Nel frontespizio ingiallito qualcuno ha scritto il suo nome come per una presa di possesso che in quel momento gli appariva definitiva – questo libro è mio! – , ma che ora non ha più alcun senso: è il nome sconosciuto di un lettore defunto. Muoiono gli uomini e le loro biblioteche si disperdono, piccole o grandi che siano. Gli eredi non hanno pietà né riguardo a svendere un libro che un loro avo forse amò o almeno volle possedere scrivendovi il suo nome con quella studiata calligrafia d’una volta che sembra quasi fiorita. E tu che lo acquisti per un euro sai d’essere lo sciacallo che si approfitta della preda inerme e vi s’avventa con brama bibliofila; senza darlo troppo a vedere al rivendugliolo – che intanto ti scruta -, perché non alzi il prezzo del defunto romanzo.  Leggi il seguito di questo post »

Volontà (di Gianluca Virgilio)

 

grecìa 3

 

Anche se tutto ciò che desideriamo avvenisse, tuttavia ciò sarebbe solo, per così dire, una grazia del fato, poiché non v’è, tra volontà e mondo, una connessione logica che garantisca tale connessione, e comunque questa stessa supposta connessione fisica non potremmo volerla a sua volta”

Ludwig Wittgenstein, Quaderni 1914-1916, 5. 7. 16.

JACQUES : N’est-il pas évidemment démontré que nous agissons la plupart du temps sans vouloir ?”

Denis Diderot, Jacques le fataliste et son maître, 286.

 

La volontà è intrinseca al nostro desiderio di vivere. Non c’è vita senza volontà. Nelle forme più estreme la volontà è desiderio di affermazione e di dominio, dunque, di sopraffazione -, anche quando si presenta nel modo più altruistico come desiderio di cambiare il mondo. Le forme del mondo cambiano impercettibilmente e incessantemente sotto l’azione congiunta di ogni vivente e noi partecipiamo di questa metamorfosi alla pari con gli altri viventi. E non parlo solo degli umani, ma proprio di tutti i viventi, animali e piante, nessuno escluso. Noi partecipiamo d’una continua metamorfosi della materia vivente, che non riusciamo a percepire se non molto parzialmente. Come la nostra percezione, così la volontà di ognuno di noi è molto limitata. L’ho imparato da bambino quando mia madre mi portava con sé per fare la spesa, ed io avevo mille richieste. Lei, le più volte, mi diceva la solita cosa che si dice ai bambini per farli stare zitti: “L’erba voglio cresce solo nel giardino del re”. Questa mi sembrava una grave ingiustizia, ma dovevo prendere atto di non essere un re e acquietarmi. Il che non mi impediva, alla prima occasione, di tornare a chiederle qualcosa.  Leggi il seguito di questo post »

Su “Opera multipla” di Mariangela Guatteri

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