Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

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L’inizialità del dire: su “Perché la poesia” di Flavio Ermini

         

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         Penso sia vero che alcuni libri “si scrivano da sé”, senza un progetto autoriale iniziale o in corso d’opera, ma addensandosi per coerenza di pensiero e di stile connaturata alle pagine che assumono poi forma di libro; è il caso di Perché la poesia. L’esperienza poetica del pensiero di Flavio Ermini (Anterem Edizioni / Cierre Grafica, Verona 2002).

          Raccogliendo i 29 editoriali (tutti saggi d’altissimo livello concettuale e stilistico) che hanno aperto le edizioni di Anterem tra il 2006 e il 2020, questo volume si aggiunge a una produzione poetica, saggistica e critica che ha pochi riscontri nella vita culturale italiana degli ultimi decenni.

         Testi limpidi, innervati da saldi riferimenti filosofici, nutriti da una rara consapevolezza teorica e corroborati dalla concreta esperienza creativa affrontano i temi fondanti della scrittura (l’origine, il dire in poesia, il “tu”, la necessità della poesia, l’assenza, l’altrove, per esempio) rivelandosi tracce di un itinerario che, attraverso la rivista Anterem e il dialogo con gli autori coinvolti e con la redazione della rivista stessa, ha stretto un’alleanza col tempo fino a diventare ora, in questo volume, il presente di una riflessione ch’è possibile perché, lungo gli anni passati, mai è venuta meno la tensione intellettuale e conoscitiva, creatrice e inventiva – e mai si è incrinata la certezza che, proprio perché così spesso offeso e involgarito, il mondo abbia bisogno dell’arte e della poesia.

          Non si dimentichi che Anterem, spazio libero e accogliente dedicato alla scrittura, ha attraversato anni indifferenti (se non ostili) alla pratica della scrittura nelle sue moltepici forme e che Flavio Ermini, con la sua coerenza e passione, ha saputo raccogliere intorno alla rivista gli slanci più intensi di chi, in deliberata opposizione al suo tempo, ha coltivato e coltiva la dimensione irrinunciabile del pensiero poetante.

 

Ancora porte da bussare: su “Herbarium magicum” di Bianca Battilocchi

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Bianca Battilocchi costruisce (forse dovrei dire “aedifica” e spiegherò perché) col suo Herbarium magicum (Anterem Edizioni / Cierre Grafica, Verona 2021) un libro ricchissimo di riferimenti sia letterari che extraletterari ed originale per impostazione e stilistica e tematica.

I simboli e la tradizione alchemica innervano tutto il libro, ma non si pensi affatto a un attardato o irrazionale tentativo di tener viva quella tradizione sulla soglia (ormai ampiamente varcata) del XXI Secolo; Bianca Battilocchi è la curatrice di uno straordinario libro dal titolo Rovesciare lo sguardo. I Tarocchi di Emilio Villa (Argolibri, Ancona 2020) nel quale studia e presenta l’eterogeneo, caotico materiale risultante dal perdurante interesse del poeta per i tarocchi e il loro simbolismo; se pensiamo anche al Castello dei destini incrociati di Italo Calvino, all’Opera al nero di Marguerite Yourcenar, alla suggestiva presenza nella nostra contemporaneità dell’opera multiforme e della personalità di Alejandro Jodorowsky, ad alcuni libri di Arturo Schwarz, naturalmente a Carl Gustav Jung, o, per esempio, ad Augusto Vitale e al suo Solve coagula. Itinerario e compimento dell’uomo nella metafora alchemica (Moretti & Vitali, Bergamo 2001), comprendiamo immediatamente quale possa essere il fertile retroterra con cui Herbarium magicum dialoga; negli stessi Marginalia al proprio libro Bianca Battilocchi suggerisce una serie di autori e di suggestioni che innervano la sua poesia (Aby Warburg e Il rituale del serpente, Simone Weil e Attesa di Dio, Cristina Campo e Gli imperdonabili, Santa Teresa d’Avila e Il castello interiore, Jung e Psicologia e alchimia, Giovanni Pozzi e Sull’orlo del sensibile parlare).

La poesia nasce, in tal modo, dal complesso intersecarsi di studi e meditazioni, dall’approdo a ritmi del dire e a strutturazioni dei testi che sanno trasformare il concetto o l’immagine di partenza in scrittura in atto – l’aedificare cui accennavo in apertura è proprio questa costruzione minuziosa del libro (dell’herbarium, vale a dire della raccolta di testi e immagini che è magicum perché capace di trasformare i materiali iniziali e trasformare anche la mente di chi legge, così come deve saper fare ogni libro riuscito), aedificare è questo strutturare i testi scegliendo anche particolari disposizioni tipografiche, questo porli in relazione con uno specifico apparato d’immagini che non ha affatto funzione decorativa, ma significante.  Leggi il seguito di questo post »