Lettera aperta / Chiusura delle sale dedicate al Gruppo T e del quarto piano del Museo del Novecento a Milano

di Antonio Devicienti. Via Lepsius

         

 

          Ricevo da Giovanni Anceschi, Davide Boriani e dal Gruppo T il seguente messaggio che mi affretto a diffondere, appoggiandone in pieno le argomentazioni, le perplessità e, mi permetto di dire, anche la profonda amarezza ivi espressa; essendo (stato? – spero proprio di no!) anche per me il Museo del Novecento di Milano luogo molto amato e molto frequentato, esprimo tutta la mia preoccupazione, benché non sia così ingenuo da non accorgermi che il clima generale di libertà, sperimentazione, fantasia, slancio, utopia, speranza che (malgrado tutto) ha innervato molti decenni dell’Italia e della Milano risorte grazie alla Resistenza negli ultimi mesi sia molto intaccato e avvelenato [A. D.]:

Dai primi giorni di gennaio il 4° piano del Museo del Novecento è chiuso al pubblico.  La sezione del Museo a cui si accedeva attraverso la passerella sospesa tra Arengario e Palazzo Reale è inaccessibile e totalmente disallestita. Non sono più visitabili le sale dedicate all’arte d’avanguardia del secondo Novecento.
Non è neppure possibile rintracciare informazioni sulla eventuale prossima riapertura e sul destino di quegli spazi. Un biglietto collocato all’entrata avvisa i visitatori che “per motivi tecnici alcune sale del percorso espositivo sono solo parzialmente visitabili”. 
Le sale del museo dedicate al Gruppo T, gruppo storico di arte cinetica e programmata attivo a Milano dai primissimi anni ’60, formato da Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco, sono state completamente smantellate. La Tricroma di Anceschi è stata restituita. I quattro “ambienti”, l’Ambiente a shock luminosi di Anceschi, l’Ambiente stroboscopico n. 4 di Boriani e l’Ambiente Strutturazione a parametri virtuali di Gabriele De Vecchi, smontati e, se non di proprietà del museo, restituiti anch’essi, come nel caso dello Spazio elastico ambiente di Gianni Colombo.
Strana è sembrata fin da subito la scelta del museo di privarsi di opere già acquisite, diminuendo di fatto il fondo che costituisce la sua ricchezza. Incomprensibile la tempistica e la fretta nel disfarsi a cavallo tra Natale e l’Epifania di quelle testimonianze preziose dell’arte cinetica e programmata. Assente qualsiasi rassicurazione rispetto ad una loro possibile nuova collocazione all’interno del museo.
Ma soprattutto è la decisione di smontare gli ambienti, allestimenti per loro natura fragili e difficilmente ripetibili, senza un progetto concreto di ricollocazione che desta le maggiori preoccupazioni.
La presenza degli ambienti del gruppo T nella Collezione Permanente costituiva un tassello fondamentale del percorso del Museo che dalla Struttura al neon di Lucio Fontana, posta alla fine dello scalone di accesso e visibile dall’esterno attraverso le vetrate dell’Arengario, portava alle sale del Gruppo T fino ad arrivare alla sala dedicata a Luciano Fabro.
Gli “ambienti” erano stati allestiti nel 2010 con l’attiva collaborazione e supervisione degli artisti, fatto che rendeva quell’allestimento irripetibile, rappresentando un’esperienza museale unica a livello internazionale. 
L’arte cinetica e programmata è nata dall’impegno di artisti come Lucio Fontana e Bruno Munari in collaborazione con giovani artisti che lavoravano in gruppo (gruppo T, gruppo N, gruppo Mid, e altri). Le forme di arte nate dalla collaborazione tra artisti, sono state proposte come presa di coscienza collettiva di processi in continua evoluzione.
Critici e storici dell’arte come G.C. Argan e Umberto Eco ne hanno condiviso e difeso obiettivi e valori. 
A quella che allora si configurava come evoluzione dell’arte nata in Europa, è stata contrapposta la Pop Art, importata dagli USA alla Biennale d’arte del 1964 con grande impegno di mezzi pubblici e privati allo scopo dichiarato di rendere predominanti nel sistema dell’arte modalità e interessi del mercato privato USA.
La prospettiva di facilitare lo scambio commerciale di opere ridotte a merce, ha prevalso sugli obbiettivi più complessi della ricerca interdisciplinare, dell’analisi e della risposta a bisogni emergenti sul piano collettivo, della nascita di forme di arte coerenti con lo sviluppo dei diversi saperi.
La difesa di questi valori non a caso si affianca alla difesa oggi necessaria di quei valori analoghi che qualificano l’assetto democratico della nostra società.
Le opere che vuole distruggere chi è preposto alla loro conservazione, sono realizzazioni essenziali del movimento che ha segnato l’evoluzione dell’arte italiana nel Novecento.
Ciò che è avvenuto al Museo del Novecento prefigura sostanzialmente l’affossamento dell’idea originaria da cui è nato il museo e, in generale, la rinuncia a ogni prospettiva che tenga conto dello svilupparsi dell’avanguardia artistica.
Chiediamo alla città, agli artisti, ai critici e agli intellettuali di mobilitarsi perché venga preservato un luogo amato dai milanesi, visitato dagli studenti, anche i più piccoli, e attrattivo per i turisti e gli studiosi di tutto il mondo.

Giovanni Anceschi
Davide Boriani

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“Se vuoi rispondere all’appello scrivi a:
anceschi.boriani.gruppot@gmail.com

Raccoglieremo e pubblicheremo documenti e dichiarazioni di artisti, critici, intellettuali e cittadini che sono contrari o che giudicano negativa sul piano storico l’eliminazione della sezione del Museo del 900 dedicata all’arte programmata e cinetica e la distruzione degli ambienti che questa sezione raccoglie”.

 

NOTA: l’immagine in apertura è una fotografia di Luca Campigotto.