Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Mese: gennaio, 2017

Per Gerardo Marotta

 

candida_hofer_biblioteca-dei-girolamini-napoli-ii_2009

Candida Höfer: Biblioteca dei Girolamini, Napoli, 2009

 

 

La morte di Gerardo Marotta ha suscitato qualche reazione sui maggiori organi d’informazione; ma voglio qui ricordare quanti ostacoli ha trovato l’opera generosa e illuminata del filosofo napoletano, quanta indifferenza il bisogno che aveva di spazi adeguati l’Istituto Italiano per gli Studi filosofici. Da Via Lepsius dedico ora a Gerardo Marotta pochi versi che siano testimonianza di gratitudine, ma anche di lucida ira rivolta contro chi, nel Sud d’Italia (ma non solo), continua un’opera d’impoverimento intellettuale ed etico dalle conseguenze devastanti; vivo in un Paese il cui grado generale d’istruzione continua ad abbassarsi, esponendo tutta la comunità a una deriva fascista e autoritaria che non intendo accettare – senza dimenticare che vaste zone di quello stesso Paese sono sotto il controllo incontrastato delle organizzazioni criminali.

 

 

IL NOLANO

Precipita, o notte, nella gola
stellata dell’orologio
e scava, se sai, nella voce scalena
della terra: proteggi
la fuga (l’ennesima)
del frate poeta e filosofo:
lo tradisce l’accento nolano
e non più – né in terre
luterane né papiste – non più
egli trova franca, gioiosa libertà.
Scegli allora, o notte, le solitudini
atroci dei sottoponti
e la cadenza matematica di disertati portici
ma non cessare, o notte, d’avvolgerlo
col desiderio del gelsomino
quando ubriaca il Luglio
e del foglio docile all’inchiostro,
al pensiero incline.

 

 

Per Salvatore Toma

 

 

salvatore_toma

 

 

Entri vestito d’una camicia di parole
(bianca. abbagliante)
e i muri di questo paese retrivo
e razzista si fanno incandescenti
bruciano i mortiviventi ‘nzerràti
nelle loro stupide case
e così brucia la pietraleccese
dopo secoli di falsa elegia
e la cartapesta dei santi fonde
liquida cola scorre
nella navata poi spinge al portale
di bronzo
spinge e l’apre sulla piazza
accanicolata
finalmente la canicola è una
col fuoco dell’irata poesia
che stringe alla gola gl’ignoranti
per soffocarli nella loro testarda inconsapevolezza
e calcinare la loro tracotanza di servi.
Dici parole di poesia
che sfondano finestre chiuse sulla
strada
e ne spargono taglienti lame di vetro
sull’ottuso appetito tacitato al tavolo
da pranzo. Finalmente
viene proclamata Libera Repubblica
d’antichi saggi animali
e di sapienti alberi
che governano il canto e il vento:
la loro non violenza sventra tutti i televisori
nel paese dei mortiviventi,
ha pietà del suolo intriso di veleni,
sbriciola la tracotanza peccaminosa
del cemento.
E noi, noi nuovi precari
e nuovi migranti,
noi ricchi di studi e di letture,
estenuati esteti senza passioni,
colti ed elitari,
impariamo da te
accogliendo in noi
il dolore e la delusione
la storia e la subalternità –
la memoria.

 

 

Leggende (5)

 

 

oria_medievale

 

Si sentiva ricolma d’amore per il cielo stellante e per le petraie al margine del mare. Scompariva. La ritrovavano a correre per il giardino senza tregua, i capelli sconvolti appiccicati di sudore.

S’arrampicava sull’olivo secolare di fronte alla Cappella della Vergine dei Pescatori rimanendovi immobile per ore, forse stordita dalla Canicola, o forse rapita dal suo essere

ANCHE un volatile,
poi ANCHE pietra,
poi ANCHE frutto della pianta.

Aspettava la notte e giungeva la Notte.

Animale fatto per il volo, o forse remota figlia del geco scalatore, si arrampicava fino alla campana e tirava, la suonava a distesa dalle viscere della Notte, pazza d’amore per l’aria satura d’Estate e del sonno dei bambini.

Scompariva. La ritrovavano a correre frenetica in cerchio nell’orto delle fave, avvicinandosi le vedevano la tunica bianca coperta di scrittura che AGIO FACTO LE CENTO MILIA PER L’HORTO DE LE STIDDE CULTIVATO DE LE MERAVEGIA.

 

 

Aristotele a Lesbo (345 – 343 a. C.)

 

 

xiphias-gladius-pescespada-di-aldrovandi

 

L’uomo che, assorto, osserva la danza nuziale
dei pesci nell’acqua
incuriosisce la bimba –
che gli si accosta.
L’uomo ha sulle ginocchia
un foglio di papiro:
disegna e scrive.
Sta in silenzio la bimba: osserva.
La luce sulla superficie dello stagno si
fa tramatura del papiro
e il nuoto dei pesci nell’acqua
intersecarsi di linee d’inchiostro:
mille occhi che guardano dalla trasparenza
delle uova disseminate sul fondale
sono mille curvature di vocali e consonanti
che la bambina, lentamente, compita
ritmando le parole dito contro dito.
L’uomo ha sospeso il respiro
osservando dimentico di sé
lo spalancarsi ritmico delle branchie,
l’estroflessione armoniosa della pinna dorsale.
Prende un foglio lì accanto la bimba,
lo porge all’uomo che ha appena vergato
l’ultima parola
e che solleva lo sguardo nella luce meridiana.
L’uomo annuisce, sorride, bisogna rifare
la punta della mia cannuccia per scrivere, dice
mordendo un pezzo di formaggio
e intanto ne porge una intinta d’inchiostro
alla bimba –
ecco, dice, vieni: continuiamo insieme questo viaggio.