1. Queste Concatenazioni sono anche un gioco e un amarcord, un esercizio di nostalgia e una brevissima autobiografia sentimentale.

2. Non capivo quel telefilm nel quale un uomo fuggiva lungo la spiaggia inseguito da un grande pallone candido. Ne ero soggiogato. Non capivo ed ero succube del fascino di ciò che non comprendevo. Il pallone lo raggiungeva, pareva ingoiarlo: si vedeva il volto, maschera bianca d’orrore, si vedevano il volto e la bocca soffocati nel lattice orrendo.
3. Anni dopo m’innamorai dell’Eternauta: lo incontrai, a puntate, in un albo a fumetti e vidi la nevicata incessante, lo stadio in cui venivano rinchiuse le persone, il kol che aveva almeno 14 dita per mano.

4. Più tardi lessi e capii che quel fumetto aveva saputo anticipare l’Argentina dei militari e delle sparizioni (come la Colonia penale di Kafka la Germania hitleriana?) Lessi Cortázar e forse capii ancora meglio.
5. Kafka, si sa, apprezzava Walser, Walser cercò nella scrittura una libertà che riscattasse la volgarità della vita quotidiana. Scrittura che vuol essere luogo di libertà. E quante volte si riaffaccia il nome di Sebald, nume tutelare per tutti noi che ci affanniamo a scribacchiare le nostre cosucce. E un giorno, ribadisco tra me e me, scriverò un testo su Sebald e la sua passione per i viaggi in treno e le stazioni ferroviarie (vale davvero la pena scrivere di quelle tedesche, mondi-tempo).

6. The prisoner number 6 si chiamava il telefilm e la sfera bianca inseguiva chi tentava di fuggire dal perimetro di quella che sembrava una bella cittadina di villeggiatura estiva in riva al mare e c’erano mezzi di locomozione avveniristici. Ci ripenso ogni volta che riprendo in mano Die Gelehrtenrepublik (La repubblica dei dotti) di Arno Schmidt, il racconto distopico intorno ad un’isola dove gli intellettuali (spesso stronzi assai, ahimé e non liberi, ma non certo corrucciati per tale mancanza) sono posti nelle migliori condizioni materiali per creare.

7. Il disegnatore dell’Eternauta scomparve come migliaia di suoi connazionali; Walser scelse d’essere dimenticato. Incessante attualità del tema intellettuali e potere, soprattutto adesso, quando il potere è così liquido, sfuggente, onnipervasivo e mentitore (ma, a ben pensarci, com’è sempre stato).

8. Spesso gli alieni erano cattivi, come lo erano stati sempre i pellirosse nei film con John Wayne. Quando ero bambino spostarsi in macchina la sera da un paese all’altro significava percorrere le strade provinciali che tagliavano i bui oliveti i cui tronchi contorti e fantastici ai lati della strada erano illuminati per un attimo dai fari dell’auto – e buio totale, inscalfibile intorno. Le fronde degli olivi occupavano lo spazio visivo davanti all’automobile, lasciando scorgere, in alto, il cielo stellato. Spesso nel telefilm si vedeva l’ufo ruotare velocissimo e luminoso sopra le fronde degli alberi e la strada, in basso, tagliava diritta il bosco.

9. Si chiamava Ufo Shado il telefilm e nei fotogrammi ci sembrava di vedere il futuro: la base lunare, il disco rotante su se stesso velocissimo, gli intercettori spaziali o sottomarini… Era stata da poco raggiunta la Luna ed il futuro, ai miei occhi bambini, si profilava nello spazio: non mi accorsi dell’uccisione di Pasolini, ma ricordo bene i giorni del rapimento di Aldo Moro e ancora meglio gli anni che seguirono. Diventare contemporaneo del mio tempo fu un esercizio di quegli anni: Liceo e Università e forsennate letture (Appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo. (…) Un uomo intelligente può odiare il suo tempo, ma sa in ogni caso di appartenergli irrevocabilmente, sa di non poter sfuggire al suo tempo. La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo – Giorgio Agamben in Che cos’è il contemporaneo? Da Nudità, Nottetempo 2013).
