Via Lepsius

pagine di Antonio Devicienti: concatenazioni, connessioni, attraversamenti, visioni

Tag: L’Arcolaio

Il cinema, l’Addio, i Quattro Quartetti secondo Michele Montorfano

 

          Nel libro di Michele Montorfano Tutto il cinema è Addio (Graphe.it Edizioni, Perugia 2022) c’è un punto preciso di congiunzione con un altro lavoro dello stesso Montorfano, vale a dire con i Four Quartets (Quattro quartetti) da lui tradotti per L’arcolaio di Forlimpopoli pure nel 2022 – immediatamente a inizio di Tutto il cinema è Addio Montorfano immagina che a un uomo della società arcaica che ci dicesse che siamo «sempre più sprovvisti davanti al terrore della storia […] risponderemmo con un gesto. Risponderemmo indicando l’estremità di un qualcosa che ci viene incontro e che si apre solo nella misura in cui avanza. Qualcosa che consegna un immaginario di desideri, di suggerimenti, di allusioni e di ambiguità posandoli su un orizzonte inaspettato e attraversato dai confini della mondanità. Qualcosa che passa nella nostra quotidianità con i suoi frammenti d’intellegibile lasciando dietro di sé la forza d’irruzione di un sentimento e la distanza di una possibilità. Ciò che si avvicina è un corpo senza unità che ci sfida in una semplice pluralità d’incanti, di luce e di dettagli, un canto discontinuo di amabilità. E questo è già l’inizio di una salvezza che coincide con il piacere. L’incontro che diventa l’attimo del tempo, “l’attimo nel giardino delle rose, l’attimo sotto la pergola dove batte la pioggia”, l’attimo dell’incontro dove accade l’inaudito» (pp. 11 e 12). È in Burnt Norton, il primo dei Quattro quartetti, che Eliot scrive i versi riportati da Montorfano avviando una complessa riflessione sul tema del tempo che, a ben vedere, è anche uno dei temi fondanti di Tutto il cinema è Addio; ma cinema e Addio (si noti l’iniziale maiuscola del secondo vocabolo) sono i cardini attorno cui ruota un lavoro che è filosofia e poesia, che tende il linguaggio come un arco per dire di qualcosa che è «Il cinema prima del cinema […] Il cinema che è il nostro vivere, rivivere» (p. 13) e che «[…] l’Addio è il luogo delle apparizioni. È il luogo dove l’immagine si deposita nella sua contemporaneità assoluta. Per questo il cinema non finisce mai continuando a finire. Per questo l’Addio inizia lasciando dietro di sé le ceneri e le modulazioni del fuoco, cenere che continua a bruciare, cenere che è presenza in un assente assoluto dove ciò che appare può essere continuamente salvato» (pp. 67 e 68 passim).  Leggi il seguito di questo post »

I nodi delle vigne: su “Quest’ora dell’estate” di Carla Saracino

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          È notevole l’eleganza stilistica e l’impostazione di pensiero dell’opera Quest’ora dell’estate (L’Arcolaio, Forlimpopoli 2022) di Carla Saracino; articolata in due parti (LA CASA, L’ESTATE), essa è un dittico di mediterraneo senso del tempo e della memoria, di greca cura dell’ospitalità e dei morti, di salentina sensibilità per la terra e i legami sia familiari che amicali; dire in poesia è, in questo libro, dire in versi (spesso lunghi e sempre armoniosi, ma mai, mai banalmente o facilmente cantabili) la nascita dell’io alla scrittura attraverso una separazione radicale e la maturazione di quell’io a un tempo e a una stagione impareggiabili perché concessi una sola volta a una sola vita che, quindi, acquista consapevolezza della preziosità e dell’irripetibilità di un tale vivere proprio secondo una visione mediterranea di destino quale assunzione consapevole ed etica di un modo preciso di condursi rispetto al mondo e agli altri.  Leggi il seguito di questo post »

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Flavio Ferraro: Il silenzio degli oracoli

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Esce Il silenzio degli oracoli (Poesie 2009-2016) di Flavio Ferraro (editore L’arcolaio), con uno scritto di Antonio Devicienti.

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Il bambino e il carrubo (su “Fate Morgane” di Marilena Renda)

Il cretto di Burri.

Se le Fate Morgane (L’arcolaio, Forlimpopoli, 2020) di Marilena Renda sono, da un lato, quei luoghi della Sicilia nei quali il fenomeno ottico è osservabile (ed è stato osservato, anche con meraviglia) da secoli, dall’altro esse sono la scrittura poetica che non si compiace di belle visioni e di estetizzanti ricami verbali, ma che, con un voluto rovesciamento del sintagma “fata morgana”, va ben oltre i giochi ottici, gli sfasamenti percettivi, l’illusorietà delle apparenze  – questo libro va dunque letto per antitesi rispetto al titolo generale: non un catalogo di miraggi, ma uno scandaglio della memoria personale e comune.
Leggiamo allora il primo testo proprio dalla sezione omonima Fate Morgane:

Se li guardi da vicino, i templi mostrano un animo nobile.
Sono i convitati di un banchetto divino,
e se temono il futuro non lo danno a vedere.
Due volte ho viaggiato per incontrarli
e due volte sono rimasta sulla soglia, la prima con te,
poi con una guida che disprezzava il mio terrore degli dei.
Tu giocavi al demiurgo, frequentavi solo gli spettacoli creati da te.
Avevi case, terre e una madre nobile, lo stemma sulla facciata
della casa di famiglia e molti comodini ancien régime.
Un giorno eravamo ad Aragona per fregare una coppia di artisti,
gli hai detto che se sborsavano un milione
un catalogo li avrebbe consacrati.
Ho confessato che non avevi tutti quei titoli.
Non erano ancora morti quei bambini,
seppelliti dall’onda di fango dei vulcani bassi
che prima d’allora avevano molte volte minacciato i turisti,
anche se mai Legambiente era andata a fondo della questione.
In macchina mi avevi insultato per ore,
invocando la lesa maestà e l’ulivo di tuo padre,
quello che non si sposta, il letto di Ulisse,
segno di un legame che non si spezza, la famiglia, la terra.
Dieci anni dopo hai ancora tutti i tuoi beni,
mentre io non ho visto i vulcani e non li vedrò più,
li hanno chiusi per sempre, sono lontani come la luna (p. 17). Leggi il seguito di questo post »