La politica inizia nell’intimità: su “Essere con” di Forrest Gander

di Antonio Devicienti. Via Lepsius

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Be with / Essere con (Benway series 14, Tielleci Editrice, Colorno 2020, traduzione di Alessandro De Francesco) di Forrest Gander è un libro d’amore nel quale la scrittura in poesia si fa capace di dire in modo inedito il dolore e il lutto, il ricordo e la passione.

Be with giunge dopo altri eccellenti libri in poesia, romanzi e saggi: Forrest Gander dimostra sempre di possedere uno sguardo sul mondo e sulle cose della scrittura ampio e, nello stesso tempo, profondo, costantemente innamorato del mondo e qui mi preme sottolineare che questa parola (mondo / world / κόσμος) significa, nei libri di Forrest Gander, ogni singola creatura, non importa se grande o piccola, se macroscopica o microscopica e addirittura invisibile, ogni singolo luogo del pianeta, ogni singolo essere umano – per questo ho voluto richiamare anche il termine greco nel suo significato di “tutto ordinato”, ché la scrittura ganderiana accoglie in sé ed esprime quest’incessante richiamarsi delle parti, questo corrispondersi dei fenomeni, delle esistenze, dei mutamenti: non è affatto un caso che una sorta di aforisma (the political begins in intimacy / La politica inizia nell’intimità – e il sottotitolo del libro in poesia più recente di Gander, Twice alive – New Directions, New York 2021 – suona An ecology of intimacies…) faccia da preludio all’intero libro stabilendo l’indissolubile legame tra ciò che è, appunto, intimo e ciò che appartiene alla sfera della polis, cioè di tutti. 

Per questo la scrittura si fa altamente metamorfica e multiforme, plasmabile per poter accogliere echi e risonanze, per questo il lessico, così straordinariamente ricco e anch’esso proteiforme proprio per la sua intima necessità di dire il mondo così complesso e mai immoto, si dischiude al pensiero e al sentimento, accoglie lo sguardo acutissimo e, ripeto, innamorato di Gander.

È in questo modo che il dolore straziante per la morte repentina della moglie (la poetessa C. D. Wright) e la lunga malattia di Ruth (la madre del poeta) sono motivi conduttori di un’opera che, però, non è mai né luttuosa né patetica, né mai si avvita sugli sterili solipsismi dell’io sofferente. L’intimità sa aprirsi al mondo proprio in virtù di una scrittura che non si attorciglia su sé stessa e non si ripete, ma che, fedele alla bellezza (e allo strazio) del mondo, ne accoglie e ne restituisce pienezza e respiro e cerca sempre nuovi sentieri – è in tal senso che la scrittura in poesia di Forrest Gander si può definire a ragione “di ricerca”.

Ma, se si leggono versi come i seguenti «Perché // parlare della morte, l’inevitabile, in che modo / il corpo viene a dispiegare vermi molteplici // come se fosse un concetto gestibile e non, / squisitamente, una bruciante singolarità – Why // say anything about death, inevitability, how / the body comes to deploy the myriad worm // as if it were a manageable concept not / searing exquisite singularity» (Figlio / Son, p. 13) ci si rende conto che la questione non investe solo gli aspetti tecnici della poesia, ma tocca le profondità dell’essere e delle sue angosce, così che la scrittura stessa dev’essere ripensata, rifondata, reinventata fin nelle sue fondamenta.

«A Leptis Magna, quando tua madre ed io eravamo giovani, ci imbattemmo // in statue di dei con facce e piedi vandalizzati. Eccetto la fila di teste di / Medusa, guardiane. Nessuno era stato coraggioso abbastanza da sfregiarle – At Leptis Magna, when your mother & I were young, we came across // statues of gods with their faces and feet cracked off by vandals. But / for the row of guardian Medusa heads. No one so brave to deface those» scrive Gander nel medesimo testo alludendo così a quel confine invisibile tra vita e morte (ma anche tra dicibile e indicibile nel senso che vengono a mancare i mezzi per dirlo tale è la sua enormità) confine che, simile a una faglia sotterranea, attraversa tutto Be with. 

«A quel punto i miei suoni di lutto rimbalzarono fuori dal linguaggio – At which point my grief-sounds ricocheted outside of language» (Convocato / Beckoned p. 14) e quest’affermazione dimostra la consapevolezza dei limiti del linguaggio, ma anche la necessità di espanderne le possibilità di dire l’indicibile che è quello che, come Medusa, paralizza e rende muti. «A quel punto concepii un regno più reale della vita. // A quel punto c’era almeno una qualche possibilità. // Una qualche possibilità, in cui non credevo, di essere con lei ancora una volta – At which point I conceived a realm more real than life. // At which point there was at least some possibility. // Some possibility, in which I didn’t believe, of being with her once more» (pp. 14 e 15) – scrittura di ricerca viene allora a indicare, nel caso di Be with, presenza di quelle fessurazioni che la morte e l’assenza aprono nel linguaggio stesso e tentativo di dirle fino a renderle visibili – ecco che un testo come Intenerimento / Entenderment rivela anche in sede tipografica tali fessurazioni e tali vuoti, la lettura è obbligatoriamente franta e ritmata da vuoti di respiro e di senso:

[…]
O morte, mormorò (nel sonno), sto                   venendo a te
È vero, la vida                   es caprichosa y puñetera
Piena di settime non risolte                   e di none
Come il poema infinito di Su                   Hui
[…]
Lei scrisse, La vita                   si sente come vita nel linguaggio
La voluttà della sua mente                   così sostanziale
Gli aggettivi                   spumeggiano via
Lui osserva                   l'ombra gettata
Da niente è gettato                   dal niente che è

[…]
Oh death, he mumbled (in his sleep), I’m                   coming for you 
It’s true, la vida                   es caprichosa y puñetera
Full of unresolved sevenths                   and ninths
So like Su                   Hui’s infinite poem
[…]
She wrote, Life                   feels life in language
Her mind’s voluptuousness                   so substantial
Adjectives                   fizz away
He observes                   the shadows thrown 
By nothing is thrown                   by the nothing he is

(pp. 21 e 22)

e leggendo più in là ecco da Dove era in passato una solida casa / Where Once a Solid House

La voce che canta in cucina                   non è la tua
Non c'è                   nessuna voce che canta in cucina
[…]
Dalle tue profondità ho rovesciato acqua                   in fondali bassi
Penzolante                   asfissiata
La mia parola                   un parossismo
[…]
A meno che                   tutto questo non sia qualcos'altro
Come girare foglie                   con un escavatore solo
Per trovare un                   crotalo all'attacco

The voice singing in the kitchen                   isn’t your voice
There is                   no voice singing in the kitchen
[…]
From your deep I’ve spilled                   into shallows
Flopping                   asphyxiated
My speech                   a paroxysm
[…]
Unless                   this is something else altogether
Akin to turning leaves                   with a stumpripper only
To find a                   striking pit viper

(pp. 30 e 31)

– ma si badi a non ridurre Be with a un libro incentrato su un lutto privato (lo stesso Forrest Gander per un certo periodo ha evitato di leggere in pubblico alcune poesie del libro perché non voleva in alcun modo apparire un poeta che esibisse il proprio dolore), bensì, tengo a ribadire, come sempre nei libri di Gander la questione riguarda il linguaggio e il suo rapporto con il reale ed esemplare in questo senso mi appare Prima ghirlanda: una ballata – da Giovanni della Croce / First Ballad: a Wreath – after St. John of the Cross nella quale l’imitatio assume splendide iridescenze che vanno dalla traduzione dall’amatissima lingua castigliana al commento in forma di poesia, dalla progressione di vertigine della poesia-pensiero al ritmo della dizione, fino al nocciolo più intimo del testo, ossia la dialettica amorosa del mistico spagnolo che s’incarna nell’amore tra i due coniugi, facendo sbocciare un testo magistrale che è, anche, un love poem di perfetta saldezza sia concettuale che espressiva – e direi che scrittura di ricerca è, in questo caso, l’azzardo (ampiamente vinto) di proporre una poesia d’amore nel XXI secolo senza distogliere lo sguardo dalla morte che, improvvisa e perentoria, pone fine, almeno dal punto di vista della presenza fisica, a quel medesimo amore.

E tutta l’opera di Forrest Gander è un atto d’amore nei confronti della vita e del mondo, il suo sguardo profondo e sapiente di geologo e di poeta gli fa vedere, per esempio, una Foresta carbonizzata / Carbonized Forest (i terrificanti incendi che hanno flagellato la California negli ultimi anni sono presenti spesso nei versi di Gander, ancor di più, poi, in Twice alive) – «E, là, un fantasma coperto di spine, stigio, eretto. // Che dice, ecco la non-traduzione del mondo – And a briary phantom there, Stygian, erect. / Saying, here is the untranslation of the world» (p. 20) egli scrive in due versi centrali del componimento e anche in essi è dato riconoscere uno dei noccioli dell’intero libro: tradurre significa, evidentemente, traghettare il mondo nel linguaggio della poesia, aggiungere vita alla vita, ma un albero carbonizzato rappresenta l’esatto contrario, essendo quell’inferno dovuto a mano umana, una foresta carbonizzata è il riversarsi dello Stige nel mondo, negazione del flusso vitale che, invece, è la traduzione della vita in tutte le sue forme possibili.

Infatti:

A cosa assomiglia
una buona
vita umana. Nel
letto come
fuori. Un'estrema
congiunzione.

What a good
human life
looks like. In
bed as
out. An extreme
conjunction.

(p. 40)

e anche i testi della seconda parte dedicati alla madre Ruth posseggono la medesima natura di extreme conjunction che la scrittura porta alla luce con una tenerezza e un rispetto senza pari: repentino e consumatosi in un breve volgere di tempo il congedo dalla moglie, lungo e segnato dall’alzheimer quello dalla madre. La poesia si misura così da un lato con la malattia inguaribile («Quale cieca testa / mandibolata e masticante / stava rodendo il filo / di seta che pensavamo / ci avrebbe condotti / di nuovo a letto? – What blind gnawing / mandibled head / was chewing up the silken / thread we thought / would guide us / back to bed?» p. 50) dall’altro con un lento svanire («Allora prendi la sua mano, camminando in / giardino: un momento animale di calore / di cui non si ricorderà quando ci saremo seduti – So take her hand, walking in / the garden: an animal moment of warmth / she won’t recall after our sit» p. 72), ma non c’è mai sentimentalismo, mai scivoloni nel patetico. La poesia, partendo dall’intimità, si trasforma in atto politico nel mentre va incontro al mondo restituendo a quest’ultimo in forma di parola quello che il mondo stesso diventa dentro la biologia e la mente di ogni individuo: è proprio per questo che le sei fotografie di Michael Flomen, che nella sezione conclusiva Zona litoranea / Littoral zone (da p. 79 a p. 91) appaiono a fronte dei testi di Forrest Gander, non ne sono illustrazioni, ma parte integrante, così che assistiamo al superamento della distinzione tradizionale (e obsoleta?) tra immagine e testo in versi per riconoscere una continuità tra le due forme – Flomen lascia che i fenomeni naturali accadendo impressionino direttamente la carta fotografica (egli lavora senza l’ausilio della macchina), tali fenomeni si rendono visibili quale fluire continuo e interazione tra le parti (l’acqua, i pesci, le lucciole, le forme della sabbia eccetera) e danno inizio al testo in poesia di Gander – questo significa che la scrittura è, a sua volta, carta fotografica impressionabile, ma non nel senso di un banale “realismo” (passiva registrazione della realtà), sì, invece, quale membrana sensibilissima che, intenzionalmente posizionata, partecipa a sua volta del flusso degli eventi; si tratta di veri e propri sondaggi dentro il divenire del mondo e anche di giunture tra immagini (concepite e realizzate però ben al di fuori e direi anche contro le tecniche e la mentalità sottese alla sovrapproduzione dei milioni d’immagini che quotidianamente si rovesciano su di noi) e scrittura in poesia – non è un caso che Gander non commenti né descriva i sei lavori di Flomen, ma, componendo testi sempre tripartiti (direi costituiti da una parte che fa da contrappunto verbale all’immagine, da una seconda che è un’enunciazione teorico-concettuale e da una terza direttamente legata all’esperienza dell’amore e della malattia) e titolandoli sistematicamente entrata e uscita (ne risultano così tre coppie sia di testi che di immagini), giunga a proporre una sorta di “lavoro a quattro mani” che in maniera concreta e decisiva apre un orizzonte nuovo nei rapporti tra testo scritto e immagine. È quella zona litoranea continuamente cangiante che significa anche confine tra immagine e testo, compenetrazione tra testo e immagine, osmosi, concomitanza tra vita e morte, tra presente e passato, tra fenomeni naturali pensiero razionale e sentimenti individuali. Al fine di suggerire un’idea di come sia strutturata quest’ultima sezione consiglio di seguire il seguente “link” ad Alligatorzine, avvertendo che i testi di Forrest Gander sono stati poi rivisti e hanno subito dei cambiamenti per la loro pubblicazione in Be with.

 

Being

 

E avviandomi a concludere questo mio intervento vorrei soffermermi su altri due testi: il primo (Madonna del Parto, p. 23), alludendo al capolavoro di Piero della Francesca, con magistrale perizia celebra la bellezza del mondo che vive una sorta di parto – il “tessuto della foresta” si dischiude (il lettore pensa: “proprio come fa la Madonna di Monterchi che schiude appena l’abito”)  e la cascata d’acque appare allo sguardo; Forrest Gander possiede una Weltanschauung nient’affatto mistica o spiritualistica (anche se è un conoscitore di filosofie e religioni sia orientali che amerinde), scorge la bellezza e l’armonia tra le parti del mondo insite nell’essere stesso del mondo, la sua poesia ne è l’espressione, anch’essa un manto che si dischiude per lasciare affiorare nascite continue; se fenomeno significa, etimologicamente, “ciò che appare, quello che si dà a vedere”, allora la poesia di Gander è il venire alla luce dei fenomeni tramite il linguaggio e lo stile, la costruzione del testo e la sua disposizione sulla pagina. 

Madonna del Parto

E poi odorarlo,
sentirlo ancora prima
che il sonno lo
raggiunga, si inginocchia al
margine della scogliera e per la
prima volta, volge la
testa verso le cascate
adesso visibili che
fiottano per un quarto
di miglia di lastre
di granito sollevate nella valle
e si ferma,
abbassando gli occhi
per un momento, incapace
di resistere alla
tranquillità – vasta, sgombra,
terrificante e primaria. Quel
fiume nudo
insediato sopra
l'altare massiccio,
cipressi reclinati
in congregazione su entrambi
i lati della roccia che luccica al sole, uno strappo
nel tessuto della foresta
continua da cui si eleva -
mentre lui cerca di restare in piedi, barcollante, a metà
paralizzato – un arcobaleno
cangiante volatilizzato
da un'esplosione incessante.


And then smelling it,
feeling it before
the sound even reaches
him, he kneels at
cliff's edge and for the
first time, turns his
head toward the now
visible falls that
gush over a quarter
mile of uplifted sheet-
granite across the valley
and he pauses,
lowering his eyes
for a moment, unable
to withstand the
tranquility – vast, unencumbered,
terrifying, and primal. That
naked river
enthroned upon
the massif altar,
bowed cypresses
congregating on both
sides of sun-gleaming rock, a rip
in the fabric of the ongoing
forest from which rises -
as he tries to stand, tottering, half-
paralyzed – a shifting
rainbow volatilized by
ceaseless explosion.


Ma anche l’opera dell’uomo, apparentemente umile e in realtà nobile perché legata alla vita, trova riscontro nella scrittura ganderiana: alludo a Mano arcaica (pp. 36-39 – qui ci si può fare un’idea della forma del testo, oltre che leggere le interessanti riflessioni di Alessandro De Francesco in merito alla traduzione di Be with) che, nell’andamento sinuoso e curvilineo del testo stampato, suggerisce sia la forma della mano che il movimento impresso al manufatto (una macina manuale utilizzata dagli antichi Pueblo del Colorado) e si propone come testo ecfrastico; la capacità della scrittura di unire tra di loro tempi molto distanti fa sì che la mano del poeta diventi la mano della donna che millenni addietro usò la pietra, in un continuo processo d’identificazione e d’immaginazione, d’interscambio delle due presenze nel tempo, di commossa sovrapposizione del lavoro di macinazione delle granaglie per la preparazione del cibo e del lavoro di chi scrive, di chi guarda e scrive, di chi cerca di capire e scrive; la forma e la disposizione tipografica del testo posseggono sempre un significato preciso perché a un occhio come quello di Gander avvezzo a individuare stratificazioni e natura delle e nelle rocce, a un orecchio come il suo di poeta colto e avvertito, ogni posizionamento della parola sulla pagina restituisce con coerenza la struttura sottesa al mondo e torno a richiamarmi al concetto, che però è anche una vera e propria immagine, di κόσμος, non senza essere consapevole del fatto che proprio quel “tutto ordinato” è anche insidiato dalla malattia e dalla morte.

                   la mia mano che tiene quel che 
                       millenni fa
                    la sua mano tenne
                 mi avvicino (verso
              chi?) su un 
           pendio verde
        dove qualcuno si inginocchia
      nell’ora (persino
   ora) al di là
del nostro (fluidoimmobile) sguardo

                     my hand holding what
                        millennia ago
                      her hand held
                   who winks out as
                 I come clear (to
              whom?) on a
           green hillside
         where someone kneels
      in the now (even
   now) beyond
our (stillflow) looking

(p. 39)

Quella di Forrest Gander è una poesia totalmente immersa nel fluire dei e nelle interrelazioni tra i fenomeni, perché già prima della poesia nella mente e nelle percezioni anche corporee di Gander il mondo è incessante presenza di rapporti tra le parti e tra sistemi (biologici, sociali, culturali, eccetera); non si tratta affatto di panismo o di mistica, ma di una modernissima visione delle strutture che innervano il mondo e il pensiero stesso; si legga infatti proprio sul finire di Author’s note che apre Twice alive: «Isn’t it often in our most intimate relations that we come to realize that our identity, all identity, is combinatory?» (p. 9) e, nel medesimo libro:

but in the inseparable
genetic mosaic of their thin
root filaments the identity
of any singular species blurs among inter-
active populations, twice alive

(p. 58)

Per molti versi Twice alive appare, infatti, la naturale continuazione di Be with con notevoli arricchimenti tematici e altrettanto notevoli sperimentazioni testuali.

Scrive Gander in The Beyond of Gozo Yoshimasu, breve introduzione al volume di traduzioni dai testi del poeta giapponese Alice Iris Red Horse: selected Poems of Yoshimasu Gozo / A Book in and on Translation (New Directions Publishing, New York 2016): «Gozo’s work sprawls, expanding and contracting like the universe. […] the poems aren’t so intellectual or theory-generated as they are visceral, propelled by breath, the insistent pulses and vibrations, of the body in relation with a reciprocating world» (p. 9) – ebbene, mi sia permesso applicare queste osservazioni anche alla scrittura di Forrest Gander il quale, nel medesimo scritto, ampiamente illustra le modalità compositive e anche performative dell’artista giapponese e che si discostano dalle sue, ma la presenza di un respiro in espansione e in contrazione, la presenza di un corpo senziente e significante proprio in virtù delle sue relazioni con il mondo caratterizza sia Be with che Twice alive del quale ultimo mi auguro un’imminente traduzione italiana. 

 

L’immagine in apertura è una testa di Medusa a Leptis Magna fotografata da Forrest Gander (forrestgander.com); l’immagine al centro dell’articolo è di Michael Flomen (Being dal sito del fotografo).