Quando si ama un “irregolare”: su Raffaele Carrieri, Stefano Modeo e un libro finalmente in libreria

di Antonio Devicienti. Via Lepsius

      carrieri

 

        Sono molto felice di poter annunciare l’uscita del libro Raffaele Carrieri, Un doppio limpido zero. Poesie scelte 1945-1980 (Interno Poesia, Latiano 2023) curato da Stefano Modeo – e lo sono per almeno tre motivi: il primo è la personale ammirazione che da più decenni mi lega al poeta tarantino e la cui poesia è stata e continua a essere parte essenziale della mia formazione; il secondo è la stima che ho di Stefano Modeo (rimando qui e qui); il terzo motivo è che ritornano in libreria versi ormai introvabili da anni e quindi probabilmente sconosciuti a molti, soprattutto giovani.

        Nella corrispondenza tra Stefano e me era subito emerso il nome di Raffaele Carrieri quale interesse comune, avevamo subito scoperto che entrambi possedevamo (direi addirittura: custodivamo e custodiamo) l’ormai introvabile (se non nelle librerie antiquarie) “Oscar Mondadori” delle Poesie scelte a cura di Giuliano Gramigna (1976) e la poesia di Carrieri ci aveva fatto da viatico mentre ci scambiavamo pareri sul Mezzogiorno dal quale sia Stefano che io proveniamo (lui tarantino, io di Maglie). In un suo messaggio Stefano mi aveva scritto che stava approfondendo l’uomo e il poeta Carrieri e pochissimi giorni addietro mi ha fatto sapere che Un doppio limpido zero sarà disponibile nelle librerie a partire dal 20 gennaio. 

        Posso anticipare che si tratta di un volume di 288 pagine tipograficamente riconoscibilissimo come edizione di Interno Poesia grazie alla consueta eleganza e sobrietà tipografica con la predominanza del bianco che ben accoglie i limpidi neri caratteri a stampa, con la prima di copertina che riporta una bella foto di Ugo Mulas che ritrae Carrieri circondato da opere d’arte e profilata da una sottile cornice rossa, così come in rosso sono stampati solo il nome e il cognome del poeta.

        Il volume è composto dall’appassionato saggio introduttivo di Stefano Modeo (Il lamento perduto del gabelliere) di 8 pagine, dai Brevi cenni sulla vita di Raffaele Carrieri, dall’ampia scelta dei testi provenienti da tutte le raccolte in poesia di Carrieri, dalle Note ai testi, dalla Nota filologica di 19 pagine che dà ragione delle scelte effettuate, delle fonti e delle varianti.

        Avremo presto tra le mani un vero e proprio atto d’amore nei confronti della vicenda personale di Raffaele Carrieri e della sua poesia e questo perché Modeo narra una vita che ha ripetutamente il sapore dell’avventura alla scoperta del mondo, ché Taranto fu, per lui, amata città natale, sì, ma innanzi tutto orizzonte di mare: era il mare ad attrarlo, come se Taranto-patria-del-sentire-e-del-desiderare fosse capace di espandersi ovunque nel Mediterraneo (e non solo), trascinando un Raffaele ancora tredicenne a imbarcarsi clandestinamente su di una nave in partenza per l’Albania.

        Carrieri fu uomo e poeta del viaggio, delle solitudini, della fame sofferta in talune circostanze, degli incontri e dell’amicizia fedele, dell’amore e della passione per l’arte, dell’affetto inestinguibile per la madre (la “formica” Maria) – definendosi con orgoglio Magnogreco riaffermava proprio il fatto che l’orizzonte marino di Taranto sapesse dilatarsi oltremisura. E in un certo qual modo Taranto è città bifronte: aperta al mare, cosmopolita da una parte e come rinchiusa nella sua appartenenza a un Sud sofferente dall’altra.

        Un’energia vitale inarrestabile che si fa talvolta melancolica, sempre innamorata del mondo attraversa la poesia di Carrieri, spirito libertario sia che attraversi la penisola iberica o i deserti nordafricani, le strade parigine o milanesi, le regioni balcaniche o greche, sia che continui a udire il battito del tamburo e il passo delle carovane, sia che dialoghi con i suoi amici artisti, sia che rivendichi con doloroso orgoglio il proprio essere “cafone al Nord” o che si lasci ammaliare dalla bellezza femminile o che ami descriversi esplicitamente come uno zingaro calderaio o maniscalco.

        Stefano Modeo ripercorre nel suo saggio le tappe della biografia di Carrieri al fine di saldarla con i motivi conduttori della sua scrittura in poesia, vale a dire l’empito costante alla fuga che è «nomadismo geografico, intellettuale e artistico» (p. 7), la sua capacità di sfuggire a qualunque categoria critico-definitoria, la «ciclicità» e lo «straniamento» (ibidem) che, sostiene Modeo, gli fanno amare Carrieri per quella sua capacità di reinventarsi tornando ciclicamente sui medesimi temi e immagini, avvicinandosene e riallontanandosene, sempre variandoli e reinventandoli, come un giocoliere che conosca tutti i segreti della propria arte, indossando diverse maschere non per camuffarsi o nascondersi, ma, ben al contrario, per rivelare la sua anima di viaggiatore, di amante della vita, di spirito libero, anche quando il muro e la morte (essi pure ciclicamente) ritornano a restituire una dimensione esistenziale che ama l’amore, gli spazi sconfinati, la prossimità degli esseri umani e degli artisti, ma conosce anche i limiti, gli ostacoli, il male (si pensi soltanto, a mo’ di esempio, ai versi dedicati alla morte d Lorca); «il corpo, il ritmo e lo sguardo» (p. 8) sono i tre strumenti che permettono a Carrieri questo «gioco» e in effetti Modeo individua in sede critica tutti quegli elementi che rendono la poesia di Carrieri immediatamente riconoscibile e “irregolare” all’interno del Novecento italiano perché totalmente aliena da vezzi, vizi e provincialismi che hanno afflitto molti autori italiani del secolo appena trascorso (ma i primi decenni del nuovo sembrano ripetere spesso i medesimi provincialismi, vizi e vezzi, complici anche certi editori aggiungo da parte mia).

        «Ci auguriamo dunque, con questa nuova antologia, di poter rinnovare un’attenzione critica verso uno straordinario poeta del Novecento» conclude Stefano a pagina 12. Via Lepsius sottoscrive e condivide in pieno un tale augurio: che il gabelliere Carrieri torni al centro dell’interesse di chi ama la poesia – che tanti giovani imparino a conoscerlo e ad apprezzarlo.

 

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Lamento 

Non pesa il fucile ad armacollo 
né il pastrano né la cartucciera 
lo stivale non pesa nella sera 
né la brina sulla bandoliera. 
È l’ora ventidue, manca un minuto: 
il giro della luna s’è compiuto. 
All’oscuro le pietre sono colte 
da improvvisa tacita morte. 
In cielo non scorre fiume 
la foglia più non riluce 
il muro è tornato muro 
e lo stivale ancora stivale 
sopra il cuore del gabelliere. 
(p. 21)


Miei paesi 

Tace il gallo fra spugna e lancia 
splende il sole nella bilancia. 
Miei paesi di tante croci 
senza fiumi senza foci, 
miei paesi di lune e gufi 
col demonio dentro i tufi, 
sul calvario Gesù giace 
come luce sulla calce. 
(p. 83)


Spina d’una rosa 

Sono bianche le ragazze 
che la notte d’estate 
spiano dalle persiane 
facendo tintinnare i capezzoli 
come teneri tamburelli. 

Devo continuare a nascondermi 
nella notte o rinverdire? 

Ritorno dopo diecimila anni 
principe dei calderai 
e sposo la spina d’una rosa. 
(p. 226)